di Enzo Palazzo
È un naturalista storico, giornalista, autore di 20 libri e 200 pubblicazioni scientifiche. Nel 1971 lanciò il “Progetto Pollino” nell’ambito della prima proposta organica del futuro parco nazionale calabro lucano. A Franco Tassi, che ha diretto per molti anni il Parco Nazionale d’Abruzzo, trasformandolo in un modello d’avanguardia a livello europeo, in un momento in cui lo sfruttamento dei boschi in Basilicata è tornato ad essere una minaccia, la Gazzetta ha chiesto se si può ammettere un ragionevole sfruttamento boschivo anche in un grande Parco nazionale?
«Per armonizzare i molti interessi in gioco, la strada maestra è quella della “zonazione”: nei boschi più vicini si possono consentire ragionevoli prelievi controllati, anche perchè esistono diritti e tradizioni importanti, come l’uso civico di legnatico e fungatico e le feste dell’albero, da interpretare, però, in un modo più attento e compatibile con la tutela ecologica. Ma nelle foreste più lontane, a quote elevate, sulle creste, nelle vallecole e nelle cosiddette “fasce di protezione” non va toccato nulla: qui vige il principio della riserva integrale e deve comandare la natura. Ricordiamo che, come nel Parco d’Abruzzo, anche in quello del Pollino (soprattutto nella parte della Catena Costiera) esistono ancora lembi sparsi e limitati, ma straordinariamente interessanti, di “selva vergine” o semi-naturale. Intervenirvi con piste, ruspe e tagli sarebbe sacrilego».
Come si preservano i boschi naturali e semi-naturali?
«Lasciando che un albero caduto e marcescente si decomponga e di lì rinasca la vita. Salvare le ultime foreste italiane costituisce una priorità assoluta per conservare il clima e le stagioni, difendere il suolo da frane e alluvioni, garantire la produzione di acque eccellenti e cristalline, offrire rifugio alla fauna selvatica. Mezzo secolo fa l’obiettivo dichiarato era il massimo sfruttamento dei boschi, misurato in metri cubi di legname tagliato. L’importanza di preservare anche il legno morto e in disfacimento – la “necromassa” –, dal quale risorge la vita e si sprigionano mille processi di rigenerazione naturale, oggi viene riconosciuta anche a livello internazionale».
Visti i conti sempre più in rosso dei Comuni, non c’è da aspettarsi la spinta allo scempio?
«Un moderato sfruttamento a beneficio di usi e tradizioni locali strettamente vigilati dalle comunità, è senz’altro accettabile. Ma ciò non significa affatto autorizzare grossi tagli industriali, magari per alimentare disastrose centrali a biomasse, come purtroppo si vorrebbe sulla Sila e sul Pollino. Questo significherebbe tornare indietro di mezzo secolo, quando querce e faggi plurisecolari venivano ceduti a due soldi per farne legna da ardere e traversine da ferrovia. A nessun sindaco, in buona o cattiva fede, dovranno essere consentiti errori tanto devastanti, perché non ha senso replicare nel parco i peggiori sistemi praticati fuori dall’area protetta. E’ proprio qui che il parco, usufruendo di tutta l’autorità di cui dispone, deve esercitare il suo controllo, chiamando in causa anche i valori paesaggistici e le tutele internazionali».
Il Parco nazionale della Val d’Agri e del Lagonegrese protegge il territorio a macchia di leopardo. Ha un senso?
«Una struttura articolata in zone è utile, ma solo se i vari usi del suolo, pur differenti tra loro, sono compatibili e armonizzati dal Parco. Debbono in sostanza tendere al fine comune, che è quello di un’area protetta, con tutti i benefici che ne derivano. Se invece sono divergenti, o addirittura opposti, il conflitto prima o poi è inevitabile. Significa prendere in giro la collettività, promettendo la difesa del territorio e della natura, ma perseguendo invece altri scopi meno chiari, magari per interessi inconfessabili».
Ma si possono gestire i parchi commissariandoli, come avviene nella Val d’Agri?
«Dovrebbe avere carattere eccezionale, invece è una comoda pratica sempre più diffusa, che mira a consolidare certi poteri e a renderli indiscussi. Impedire abusi del genere dipende, anche e soprattutto, dalla nostra capacità di vigilanza, intervento e mobilitazione civile».
Enzo Palazzo
L’esempio del Costa Rica con il “restauro ambientale”
«In Costa Rica, uno Stato che punta al benessere e all’equilibrio tra uomo e ambiente, nella Cuenca del Rio La Balsa, al nord del Paese, la gente si è accorta che coltivando e sfruttando troppo la parte alta delle montagne, non aveva più acqua sana e pulita, e la fauna stava scomparendo. L’intera comunità si è allora mobilitata in un grande progetto di restauro ambientale, acquistando piccoli lembi di terra, ricostruendo micro-bacini idrici e piantando alberi. Ad aiutarla, sono intervenute organizzazioni come l’Istituto Nectandra e un sistema di prestiti senza interessi, con lo scopo di ricreare l’ambiente, far crescere la cultura dell’acqua e della foresta, e sviluppare un nuovo tipo di ecoturismo. Ora gli stranieri accorrono qui a scoprire non solo come tutta la comunità partecipi con entusiasmo all’operazione, ma anche come la natura stia rapidamente recuperando i propri spazi. Nel giro di pochi anni, la foresta si è riformata, la biodiversità sta riprendendo il sopravvento e le acque pulite abbondano, a beneficio di tutti. Oggi, attraverso internet, chiunque può vedere cosa stia accadendo dall’altra parte dell’Oceano. Un progetto a medio e lungo termine, un investimento nel futuro, ma anche un impegno nuovo in cui tutti si sentono protagonisti e partecipi.
“Comprare la terra dove nasce l’acqua, piantare alberi e far pace con la natura vuol dire assicurare un futuro anche ai figli dei nostri figli”, è il pensiero che pervade questa nuova cultura del cambiamento, nell’interesse di tutti. Quando anche in Italia, e in Basilicata, riscopriremo che il futuro sta non nel consumare e distruggere, ma nel conservare e ricreare l’armonia e le risorse della natura, allora la scelta tra un vero Parco del futuro e le rapaci aggressioni al territorio attuali sarà semplice, sicura e condivisa».
e.p.
Se il parco diventa un luna park
La sovranità del Parco della Val d’Agri e in generale delle aree protette della Basilicata, secondo gli ambientalisti, è minacciata dalla pressione dei petrolieri. Franco Tassi, tra l’ineluttabilità del conflitto e le strategie tattiche della politica, si dice convinto che «però, quando la gente approfondisce e si muove, le cose vanno ben diversamente, come accadde col movimento popolare contro le scorie nucleari che, nel 2003, bloccò sul nascere una delle più vergognose operazioni ai danni del Mezzogiorno d’Italia: quella che voleva ridurre l’Arco Jonico a pattumiera delle zone ricche».
Ma attualmente l’impressione è che si riscontrino maggiore arroganza delle multinazionali, più leggi inapplicate e più sudditanza della politica rispetto al 2003.
«L’arroganza di tutti i poteri incontrastati si limitano sempre se la gente è unita e decisa. Talvolta il potere tenta di circuire, blandendo le autorità con promesse, collaborazioni e sponsorizzazioni. Iniziative su cui si può anche discutere, ma solo se i vincoli del Parco vengano pienamente rispettati. Altrimenti, il rischio è trasformare i parchi in una specie di luna park, come stava accadendo in America, con la Grand Canyon Company, la società concessionaria dei servizi che stava diventando più potente e politicamente influente del parco stesso». e.p.
La scheda
Le aree protette in Italia sono circa un decimo del territorio di cui neppure un quarto riguarda foreste a vocazione naturale. In Basilicata siamo al 30 per cento del territorio protetto. Ancora un secolo fa Norman Douglas poteva scrivere: “Il bosco di Policoro ha la bellezza aggrovigliata di una giungla tropicale”.
Secondo Tassi, «nessun luogo ha il fascino e la ricchezza culturale, la storia e l’arte, il folclore, il paesaggio, la biodiversità e la capacità di accoglienza dell’Italia e del Mezzogiorno. Ricordo che una sera un turista tedesco, di ritorno al litorale Jonico, dopo una lunga traversata del Pollino e una giornata trascorsa tra la terra e il cielo, esclamò: “Io non so davvero cosa ho fatto di buono nella vita, per meritare di godere meraviglie come queste!”. Ecco qual è la nostra vera ricchezza che non va contaminata, ma custodita con cura e rispetto, così come ci è stata tramandata».
[* Enzo Palazzo - La Gazzetta del Mezzogiorno del 3/9/2011]