lunedì 13 settembre 2010

Tesori della Murgia



SALVATO IL CASONE DI SANT'ANDREA

di EMILIO OLIVA

Stava cadendo a pezzi. Le infiltrazioni di acqua e di radici, oltre alle muffe e allo stato generale di abbandono, avevano messo in serio pericolo la costruzione, una testimonianza dell’economia pastorale che si fa risalire al XVIII secolo, unica nel suo genere per la sua architettura contaminata da stili orientali. Tanto che lo studioso Mario Tommaselli lo aveva paragonato ad una «moschea con il minareto». Ma dopo un attento restauro, costato appena 40mila euro, il Casone della Murgia è stato recuperato al patrimonio rupestre e sotto la gestione dell’Ente Parco della Murgia materana potrà diventare la base operativa dei percorsi turistici e naturalistici della zona di Sant’Andrea, a Montesca glioso. Gli artefici di questa impresa, consegnata all’umanità senza clamori, si chiamano Guglielmo Strada, Fondazione Zetema, Massimiliano Burgi, Michele e Fr ancesco Paolo Sacco, oltre allo stesso Tommaselli. Burgi, architetto, è il progettista e il direttore dei lavori di restauro che l’im - presa dei fratelli Sacco ha eseguito in modo esemplare, praticamente a costo zero. Michele D’Elia, direttore tecnico scientifico di Zetema, gli aveva raccomandato di «ritornare spesso nel sito – ha rivelato Burgi – per capire cosa vuole il Casone da te». Il giovane architetto ha seguito il consiglio e i risultati sono sotto gli occhi di tutti.

Proprietario del Casone è Guglielmo Strada, uno tra i pochi privati che comprendendo il valore del bene lo ha ceduto in comodato alla Fondazione Zetema. «Quando cominciammo a parlare di questo progetto, nato da una idea comune dell’avv. Raffaello De Ruggieri, mia e dell’amico Tommaselli – racconta – tutto sembrava possibile, ma arduo il cammino. Ricordo le parole dell’avvocato: “Prima i fatti e poi le parole”. E così è stato fatto. Nel giro di pochissimo tempo, grazie alla sua grinta e all’aiuto di validi collaboratori si è potuto salvare in extremis questo edificio, unico nel suo genere. Ci auguriamo che si continui su questa strada e che si possano salvare i numerosi tesori nascosti nel territorio, altrimenti destinati al degrado e alla dimenticanza». Per la Fondazione Zetema è come sfondare una porta aperta. Il restauro del Casone si inserisce in una certosina ed efficace missione di recupero di monumenti e simboli del passato inaugurata da Zetema con il restauro della Cripta del peccato Originale, definita per la ricchezza di affreschi «la Cappella Sistina del rupestre materano». Ma la lista di monumenti restaurati e da inaugurare è destinata ad allungarsi.

«Le prossime, tra qualche mese, pensiamo a novembre, saranno le chiese rupestri di Santa Margherita e Santa Lucia a Melfi», annuncia Raffaello De Ruggieri, presidente della Fondazione, pur dichiarandosi fedele al principio di voler comunicare sempre e comunque con i fatti. Un altro principio osservato da Zetema anche in questa occasione supera persino il valore di ogni restauro perché affronta il problema del dopo, cioè del futuro del monumento, perché non ricada nell’abbandono.

«Prima di intervenire sul fronte conservativo occorre avere un’idea gestionale», ammonisce De Ruggieri. Non a caso la nuova storia del «minareto» ha inizio adesso con l’Ente Parco della Murgia che a giorni lo riceverà ufficialmente in gestione per affidarlo al Centro di educazione ambientale di Montescaglioso e metterlo a servizio delle sue attività. Ro- berto Cifarelli, presidente dell’Ente Parco, è convinto che questa sia la strada per trasformare Matera, Montescaglioso e il territorio murgiano da «meta di passaggio» a «meta turistica autonoma e autosufficiente » in grado di «portare valore aggiunto» all’economia locale. Il restauro del Casone rafforza i programmi di recupero e di salvaguardia di monumenti, siti e manufatti che rappresentano i segni distintivi della Murgia e della civiltà rupestre, un patrimonio unico e irripetibile che «i ragazzi della Scaletta» negli anni Sessanta cominciarono a studiare e a candidare ad azioni di tutela contro spoliazioni, vandalismi, abusi e abbandono. Sarebbe un delitto se nessuno raccogliesse il loro testimone per continuare nel tempo quel lavoro, anche se l’entusiasmo, la passione, la tenacia e la tensione ideale dovessero ricordare solo pallidamente l’indimenticabile stagione spesa da quei «ragazzi», oggi ultrasessantenni, animatori del circolo culturale, per la conoscenza e la tutela del territorio e del suo patrimonio.


«Come una piccola moschea con il minareto sulle vie della transumanza»

Tra centinaia di casoni sparsi in Basilicata sulle vie della transumanza quello di Murgia Sant’Andrea è forse il più singolare. A colpire è la sua struttura architettonica per la quale lo studioso e naturalista Mario Tommaselli lo paragonò ad «una piccola moschea con il minareto». La spiegazione la trova nel fatto che l’Abbazia benedettina di Montescaglioso, nei cui tenimenti rientrava l’area in cui è sorto, «aveva commende, come tutte le altre, anche in paesi orientali. In Siria ci sono modelli molto simili in luoghi di culto». A rafforzare questa tesi è l’a rch. Massimiliano Burgi, che ne ha diretto il restauro, evidenziando le «tre forme archetipe di cui si compone, il cerchio, il rettangolo e il quadrato, ognuna delle quali con una destinazione precisa. La parte circolare, che unisce gli altri ambienti, «con una cupola a forma di pera», ospitava il soggiorno di mandriani e pastori. Nella parte quadrata, il camino, si completava la lavorazione di formaggi e ricotte. La parte rettangolare era adibita al ricovero di cavalli o muli e asini».

Sorge in un «punto nodale» dei percorsi della transumanza, tra il mare e la montagna, tra il Metapontino e le serre del Melfese, in un’area come quella materana e montese dove si incrociavano regi tratturi. «Oggi la transumanza è tutt’altra cosa, si fa con i camion. Ma a quei tempi avveniva a piedi e richiedeva giorni. Erano dunque necessari pernottamenti, per gli uomini e per le bestie. Nei casoni mandriani e pastori potevano soggiornare e avevano diritto a farlo per 24 ore, in casi eccezionali per 48 ore. Quando andavano via, restava un addetto che aspettava i compratori di ricotte e formaggi. perché i compratori che provenivano dai paesi della zona sapevano di questa trasmigrazione e conoscevano i giorni e le ore». Il casone è un tassello di quel complesso mosaico di monumenti e costruzioni che esprimono l’identità del patrimonio murgico. Ma proprio per la sua architettura originale, dopo il restauro, arricchisce il forziere di tesori custoditi nel territorio materano e salvati in tempo, prima che si conservassero soltanto in qualche fotografia, come dice Tommaselli.

«Quando il tenimento di Murgia Sant’Andrea fu espropriato, prima con le leggi napoleoniche, dopo con quelle del 1860, con l’unificazione d’Italia, quest’area fu fatta a pezzi e lottizzata andando in mano a privati. Fu un passaggio doloroso, perché allora non si comprese che questa unità del territorio era di vitale importanza». Un altro rischio che corrono i tesori della Murgia sono l’abbandono e il disinteresse delle istituzioni. Alla Regione, ma a uomini che si sono succeduti nell’arco di più legislature, Tommaselli rimprovera di aver emanato una legge per l’istituzione dell’Ente Parco della Murgia ignorando di aver assunto con essa un impegno, «che non era solo morale». L’idea di Tommaselli è che non avrebbe dovuto sentirsi chiedere qualcosa dall’Ente Parco o sollecitare interventi o risorse, ma invertendo i termini «pretendere dall’Ente Parco» i risultati di un’azione di tutela. « È come se un figlio – spiega meglio lo studioso – venisse privato del vitto o dell’alloggio oppure venisse abbandonato. Mi auguro che prima o poi questa Regione riesca a capire che quando fa una legge ha il dovere di rispettare quanto ha approvato». [em.ol.]

Fonte:
http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/GdM_dallabasilicata_NOTIZIA_01.php?IDNotizia=365869&IDCategoria=12

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