lunedì 26 settembre 2011
Il Falco grillaio in volo su Lavello
Pubblichiamo qui sotto un interessante articolo tratto dal Quotidiano della Basilicata del 25 settembre 2011 in cui si evidenzia la presenza del Falco grillaio nell'area di Lavello a dismostrazione di come la tutela e la conservazione delle colonie storiche contribuisce all'espansione della specie nelle altre aree della regione.
domenica 25 settembre 2011
Parco divertimenti nell'Oasi di San Giuliano?
Ormai non si contano le mille idee su come "utilizzare" la Riserva Naturale di San Giuliano!
Alcuni anni fa sono stati registrati numerosi casi di aeromodellismo praticati, con notevole disturbo all'avifauna presente, sui prati umidi della zona A della Riserva, quella cioè a maggior protezione secondo il Regolamento di Gestione della Provincia di Matera. Per fortuna, dopo tante denunce e segnalazioni, la cosa si è risolta positivamente per l'area.
Da un pò di tempo alcuni vorrebbero portare barche, canoe e vele e ogni tanto l'argomento torna (specie in concomitanza di appuntamenti elettorali) ma la partita per ora è chiusa. Ed ora che si fa nel frattempo? Ecco che scendono in campo ( o meglio in acqua) i modelli navali radiocomandati...!
Domenica 25 settembre, in un ampio tratto della riva sinistra del lago nei pressi dello sbarramento, per tutta la mattinata alcune persone, con l'auto prepotentemente in sosta sulla riva lacustre in area interdetta ai veicoli, hanno dato libero sfogo al proprio hobby di modellismo navale senza minimamente tener conto della tipologia dell'area protetta e dei divieti di arrecare ogni disturbo alla Natura e ai visitatori desiderosi di immergersi nella pace e nella tranquillità dell'area protetta. Nessuna vigilanza e nessun controllo per tutta la mattinata...eppure è una delle aree più frequentate e più soggette a disturbi quotidiani. Il rumore dei motori (a cui facevano eco diversi colpi di fucile nelle vicinanze) si sentiva a notevole distanza; su tutta la superficie del lago antistante il campo di gioco nessuna forma di vita alata si notava. La Natura e le sue espressioni più vivaci (anatre, cormorani, aironi, svassi, gabbiani, ecc.) era di colpo scomparsa! Anche i pochi turisti che si affacciavano al lago sono stati praticamente indotti ad andare via, a vivere ed ammirare altrove la Natura. Ma, visto che la foto non rende nè il rumore nè il disturbo, o se qualcuno vuole semplicemente avere un 'idea di cosa si può fare con questi modellini lanciati su uno specchio d'acqua ecco qui un link esplicativo: http://youtu.be/sY7aZw-swrg
Si spera che le autorità di controllo e le associazioni protezionistiche locali facciano ogni giorno opera di prevenzione e di sensibilizzazione al fine di non rendere carta straccia una buona legge di tutela per questa importante area naturalistica che la Regione Basilicata ha varato nel lontano anno 2000 con l'obiettivo di proteggerla di più e meglio!
Alcuni anni fa sono stati registrati numerosi casi di aeromodellismo praticati, con notevole disturbo all'avifauna presente, sui prati umidi della zona A della Riserva, quella cioè a maggior protezione secondo il Regolamento di Gestione della Provincia di Matera. Per fortuna, dopo tante denunce e segnalazioni, la cosa si è risolta positivamente per l'area.
Da un pò di tempo alcuni vorrebbero portare barche, canoe e vele e ogni tanto l'argomento torna (specie in concomitanza di appuntamenti elettorali) ma la partita per ora è chiusa. Ed ora che si fa nel frattempo? Ecco che scendono in campo ( o meglio in acqua) i modelli navali radiocomandati...!
Domenica 25 settembre, in un ampio tratto della riva sinistra del lago nei pressi dello sbarramento, per tutta la mattinata alcune persone, con l'auto prepotentemente in sosta sulla riva lacustre in area interdetta ai veicoli, hanno dato libero sfogo al proprio hobby di modellismo navale senza minimamente tener conto della tipologia dell'area protetta e dei divieti di arrecare ogni disturbo alla Natura e ai visitatori desiderosi di immergersi nella pace e nella tranquillità dell'area protetta. Nessuna vigilanza e nessun controllo per tutta la mattinata...eppure è una delle aree più frequentate e più soggette a disturbi quotidiani. Il rumore dei motori (a cui facevano eco diversi colpi di fucile nelle vicinanze) si sentiva a notevole distanza; su tutta la superficie del lago antistante il campo di gioco nessuna forma di vita alata si notava. La Natura e le sue espressioni più vivaci (anatre, cormorani, aironi, svassi, gabbiani, ecc.) era di colpo scomparsa! Anche i pochi turisti che si affacciavano al lago sono stati praticamente indotti ad andare via, a vivere ed ammirare altrove la Natura. Ma, visto che la foto non rende nè il rumore nè il disturbo, o se qualcuno vuole semplicemente avere un 'idea di cosa si può fare con questi modellini lanciati su uno specchio d'acqua ecco qui un link esplicativo: http://youtu.be/sY7aZw-swrg
Si spera che le autorità di controllo e le associazioni protezionistiche locali facciano ogni giorno opera di prevenzione e di sensibilizzazione al fine di non rendere carta straccia una buona legge di tutela per questa importante area naturalistica che la Regione Basilicata ha varato nel lontano anno 2000 con l'obiettivo di proteggerla di più e meglio!
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sabato 24 settembre 2011
Inquinamento Basento: un video che fa riflettere
In un tratto del Basento compreso tra i territori di Ferrandina e Pisticci si è verificato uno sversamento di sostanze chimiche di provenienza industriale che ha ucciso migliaia di pesci avvelenando il fiume. Le acque inquinate, tuttavia, continuano a dissetare greggi e mandrie e vengono utilizzate per irrigare i campi.
www.pisticci.com
www.pisticci.com
venerdì 23 settembre 2011
NO ALLA SVENDITA DEI PARCHI NAZIONALI
LA PROPOSTA DI MODIFICA DELLA LEGGE 394/91: UN GRAVE ATTACCO AI PARCHI ED ALLE AREE PROTETTE
NO ALLA SVENDITA DEI PARCHI NAZIONALI
E’ in corso al Senato, presso la Commissione Ambiente, la discussione del disegno di legge 8 N. 1820 per la modifica della legge quadro sulle aree protette (Legge 394/91).
La Legge 394/91 era stata voluta da menti illuminate (tra cui il "gruppo di lavoro del verde" di Italia Nostra e alcuni rappresentanti del WWF), che, con tanta ostinazione e coraggio, erano riuscite a farla approvare dal Parlamento, dopo un lungo e tortuoso percorso, durato ben 31 anni.
Il disegno di legge risulta peggiorativo, rispetto al testo attualmente in vigore, in diversi punti ma tra questi, vogliamo, in questo momento, metterne in evidenza uno particolarmente insidioso e pericoloso e cioè l'emendamento N.2.0.300, presentato dal sen.Orsi, relatore del ddl, lo stesso che aveva proposto mesi addietro una nuova legge sulla caccia particolarmente impattante.
Il “cacciasenatore” Orsi è ritornato all’attacco ancora più pesantemente, proponendo con il suo emendamento, di dare la facoltà ai titolari di concessioni idroelettriche, cave, impianti a biomasse, ricerche di idrocarburi, impianti eolici, fotovoltaici… di dare “elargizioni” agli Enti Parco, in cambio del “disturbo”. Basterà cioè pagare i parchi per poterne sfasciare il territorio, facendo leva sul fatto che l’attuale Governo non ha esitato a dimezzare i fondi concessi agli Enti parco, rendendo sempre più difficile la loro azione di tutela del territorio e di sviluppo sostenibile delle comunità locali.
Immaginabili quali e quante pressioni le lobby dell'energia, del cemento stiano facendo sui (loro amici) parlamentari, con l’ obiettivo di scardinare la legge quadro 394/91, considerata, finora, una tra le migliori al mondo nel campo della tutela della biodiversità e della protezione degli ecosistemi e non solo.
Un fiore all'occhiello per il nostro Paese, fiore che qualcuno sta cercando ostinatamente di far appassire, per soddisfare certi gruppi di potere facilmente. individuabili
L' aggressione ai parchi nazionali, alle aree protette, alla Rete Natura 2000 è ormai palese. Il Parlamento bocci questa proposta deleteria per la conservazione della natura e la tutela del paesaggio, che verrebbero svenduti, con gravissimi danni anche per la collettività.
La bocci, prima che sia troppo tardi.
Lì, 22 Settembre 2011
Le Associazioni
ALTURA
ITALIA NOSTRA CALABRIA
WWF
LIPURENDE
MEDITERRANEA NATURA
COMITATO NAZIONALE PAESAGGIO
ENPA-CROTONE
ARCI-CROTONE
mercoledì 21 settembre 2011
Basento, un fiume di veleni
Qualità, rintracciabilità, trasparenza. Certo parole importanti per la nostra sicurezza alimentare, nonostante smaltiamo rifiuti industriali mischiandoli pure nella produzione di mangimi per animali, che a nostra volta, mangiamo. I residui chimici però, a volte ritornano nei nostri organismi a partire dall’origine del processo produttivo.
Attraverso l’irrigazione dei campi, l’abbeveraggio di bestiame. Il Basento, sino alla piana di Metaponto, subisce pressioni antropiche e presenta aree fortemente inquinate. Interagiscono in qualche modo con il suo corso? Quali possibili effetti hanno le sostanze riscontrate sulla salute umana? E cosa si sta facendo per preservare un bene fondamentale anche per il nostro ciclo alimentare?
Seguiamo il fiume partendo da Nord. Da Tito. A poche centinaia di metri dal fiume la
prima area inquinata. La storia inizia nel ‘95 quando risultò necessario bonificare. Se ne sarebbe dovuta occupare una società ma “se nel 1996 – ha affermato Maurizio Bolognetti dei Radicali lucani – i fanghi presenti erano circa 170 mila tonnellate, nel 2001 si è arrivati a 250 mila”. Nello stesso anno arriva il sequestro. L’Organizzazione Lucana Ambientalista (Ola, ndr) nel suo Dossier ricorda che la zona è tra le più ad alto rischio per la salute in Italia. Sotto terra rifiuti industriali. 59 mila metri quadri, 7 campi di calcio messi insieme caratterizzati dai residui tossici accumulati dopo la chiusura della Liquichimica e da rifiuti di diversa origine sui quali “è quasi certo – denuncia Bolognetti – che qualcuno si sia arricchito facendo affari col traffico dei rifiuti. Ecomafie”. Oltre alle ecomafie in Basilicata s’autodenunciano le industrie. Nel 2006, a Tito, lo fa un’impresa per un pesante atto di contaminazione della falda acquifera e del terreno. Si parla di tricloroetilene, tricloroetano, dicloroetilene, bromodiclorometano, cloroformio, bromoformio, cloruro di vinile monomero, esaclorobutadene, tetracloroetilene, sommatoria organoclorurati e idrocarburi totali. Sostanze tossiche, cancerogene e persistenti, insiste la Ola, riscontrate anche “in percentuali un milione di volte superiori ai limiti consentiti”.
Il 20 agosto 2009, la situazione d’inquinamento del fiume Basento e del fiume Tora porta Bolognetti a consegnare un esposto alla Procura della Repubblica di Potenza. Ma l’acqua scorre. Raggiunge altre contaminazioni prossime al fiume. La zona industriale di Ferrandina, la “pista di volo” e l’area “ex metanolo” di Pisticci. Un report del 2001 dello Studio Omega mostra come nella prima il 41 per cento degli scavi presentano superamenti. C’è di tutto. Idrocarburi policiclici aromatici (Ipa, ndr), con una tossicità – conferma l’Università di Padova – multiorgano e particolarmente implicati nei tumori di polmone, vescica e cute, rene, laringe, mammella, e da un punto di vista immunotossicologico in allergie, immunosoppressione, degenerazione maligna linfocitaria. Rientrano in ricerche sull’aterosclerosi, sulla connessione con malformazioni, deficit funzionali e insufficienza renale dovuti all’esposizione durante la vita neonatale. Per alcune come il benzo-perilene s’arriva a superare il limite di120 volte (vedi box Le analisi). Sostanze assorbite tramite respirazione, attraverso la cute, e mangiando. Cibi affumicati, ma anche alimenti vegetali a foglia larga tipo lattuga, spinaci, e frutta come cereali allo stato grezzo.
E poi metalli pesanti tipo mercurio, che, come cadmio piombo e nichel, oltre al
basento_idrocarburi_foce
cancro possono causare danni ai reni, al sistema nervoso e al sistema immunitario. E c‘è tetracloro-etano. L’International Uniform Chemical Information Database afferma che è difficilmente biodegradabile e molto tossico, per le acque potabili anche in caso di perdite nel sottosuolo di quantità minime. E il benzene? Secondo l’Agenzia Internazionale per la ricerca sul cancro, oltre alla cancerogenicità, vi è una limitata evidenza per una associazione causale con leucemia linfocitica acuta, mieloma multiplo, linfoma non-Hodgkin, e una forte evidenza che i suoi metaboliti producono effetti genotossici. Il limite è 2, nell’area di prelievo segna 22. C’è dicloroetano 34 volte superiore. Come effetti sono state osservate alterazioni epatobiliari, distonie neurovegetative e alterazioni della funzione tiroidea. E per le acque? Si superano i limiti di solfati, manganese, e tricloroetilene, prodotto difficilmente biodegradabile che può provocare effetti negativi per l’ambiente acquatico. Nell’uomo il solito cancro ed è sospettato di causare alterazioni genetiche. Il tricloroetano supera di circa 3 mila volte il limite. L’Agency for Toxic Substances & Disease Registry sottolinea gli effetti sul sistema nervoso ed epatico. Oggi dall’area diaframmata di Ferrandina viene giù un tubo dritto nel Basento.
Il depuratore sembra addormentato. A dieci metri un puzzo forte e acre toglie il respiro. S’immerge nel fiume e torna a galla annerendo l’acqua attorno. Poco più sula Materit, ex fabbrica di manufatti in cemento-amianto. Nella sua caratterizzazione sono risultati livelli d’amianto nel terreno anche 62 mila volte superiori e un inquinamento della falda da esaclorobutadiene, tricloretilene. Ovviamente tutto cancerogeno. Dentro lo stabilimento, non si sa come siano entrati, lavatrici, frigoriferi, cucine. Rifiuti che devono essere stoccati con cautela per i materiali nocivi che contengono. Fuori, nei pozzi di raccolta acque di superficie, poco tempo fa galleggiava un liquido nero e oleoso. A Pisticci Scalo il 44 per cento degli scavi presentano superamenti. È riscontrato mercurio, nichel, rame. Le acque mostrano superamenti di solfati, manganese, la presenza di selenio, cromo, nichel e valori molto elevati di cloruri. L’amianto è diffuso in tutta l’area, e anche qui, come a Tito, s’evidenziano materiali estranei. Una presenza tanto massiccia da far produrre una tabella di rifiuti interrati. C’è di tutto. Persino bidoni corrosi. È lo scenario di un’area utilizzata per smaltimenti illeciti. E si va avanti così da decenni. Nel ’90 una Commissione parlamentare evidenziò gli sversamenti in alcuni pozzi. L’ex Coordinatore di Legambiente in quel periodo denunciò come le tonnellate di rifiuti tossici sversati in discariche abusive in Valbasento rappresentavano solo la punta d’un Iceberg e che nell’area emergeva una notevole incidenza di morti per cancri, malformazioni in persone e animali, un elevato tasso di malattie dell’apparato respiratorio, leucemie.
È la Basilicata borderline, sospesa tra l’idea di incontaminato e aumenti di cancri
tipici di realtà pesantemente inquinate. Nel 2000 un’altra Commissione la ricordò come regione con la percentuale più elevata di produzione di rifiuti speciali cui corrispondeva una bassa industrializzazione. Risultò rilevante che su circa 600 mila tonnellate, di ben oltre la metà non si sapesse la destinazione finale. Fu verbalizzato “presunta gestione illecita”. Il Basento intanto continua a scorrere e senza presumere sfiora queste isole tossiche i cui terreni, con le piogge, diventano pantani che filtrano l’acqua e la reimmettono nel fiume. È il ciclo dell’acqua. Nel 2003 una ricerca del Cnr-Irpi di Bari s’occupò dei rischi di degrado delle acque sotterranee della piana di Metaponto. L’inquinamento caratterizzante le acque sotterranee risultò un “reale problema ambientale”. “Il degrado quantitativo e qualitativo – è scritto – costituiscono un rischio concreto che minaccia le risorse idriche della piana”. Precisava che un’acqua sotterranea molto rara rispetto alle caratteristiche dell’area contraddistingueva i campioni prelevati in prossimità del Basento. Oltre a fenomeni di inquinamento da contaminanti agricoli e perdite da reti fognarie, viste le concentrazioni elevate d’ammoniaca e coliformi totali e fecali, s’evidenziò la presenza di elementi cancerogeni quali l’arsenico, lo zinco e il rame.
Risultati associati alla consapevolezza d’un fiume con un pesante carico inquinante il cui bacino, con la più alta densità abitativa e concentrazione di industrie, rendeva le acque fluviali “soggette a un maggior rischio di inquinamento e, per possibili perdite dal fiume stesso, conseguentemente anche la falda idrica“. Questione seria la falda. Tanto che il 29 marzo di quest’anno il Commissario Straordinario del Comune di Pisticci trasmetteva una deliberazione al Ministero dell’Ambiente, alla Regione, alla Asl e ai comuni interessati con oggetto la bonifica del Sito di interesse nazionale Valbasento (Sin, ndr). A due giorni dalla Conferenza di servizi il Commissario fa presente al Ministero che nel novembre 2006 aveva assegnato 2.272.727 euro per intervenire, “in particolare” si legge, sull’inquinamento della falda, e che la Regione ne aveva resi disponibili altri 2.272.727. “Risultava improcrastinabile definire un percorso certo delle attività di messa in sicurezza, bonifica e risanamento ambientale dell’intero sito, in particolare attraverso gli interventi di bonifica delle acque sotterranee”. E l’Accordo di programma del 2009 ribadiva che ciascuna parte, per la propria competenza, avrebbe dovuto “progettare e realizzare gli interventi di messa in sicurezza delle acque di falda e dei suoli delle aree pubbliche nonché di quelle agricole colpite da inquinamento indotto”. Un’azione importante al punto da incamerare 3.845.454 euro su 4.545.454. Il soggetto attuatore doveva individuarlo Ministero dell’ambiente e Arpab (Agenzia regionale per la protezione ambientale della Basilicata, ndr), e tutti gli interventi avrebbero dovuto concludersi in 24 mesi. “Avrebbero”, perché ad oggi “non si conosce – afferma il Commissario – lo stato d’attuazione degli interventi”. “È etico – ricorda un report dell’Istituto superiore di sanità del 2005 sui Sin – che gli interventi di bonifica vengano posti in opera senza attendere lo sviluppo di casi di malattia conclamata”.
Andrea Spartaco
Fonte: http://www.pisticci.com/territorio/2727-un-fiume-di-veleni
Attraverso l’irrigazione dei campi, l’abbeveraggio di bestiame. Il Basento, sino alla piana di Metaponto, subisce pressioni antropiche e presenta aree fortemente inquinate. Interagiscono in qualche modo con il suo corso? Quali possibili effetti hanno le sostanze riscontrate sulla salute umana? E cosa si sta facendo per preservare un bene fondamentale anche per il nostro ciclo alimentare?
Seguiamo il fiume partendo da Nord. Da Tito. A poche centinaia di metri dal fiume la
prima area inquinata. La storia inizia nel ‘95 quando risultò necessario bonificare. Se ne sarebbe dovuta occupare una società ma “se nel 1996 – ha affermato Maurizio Bolognetti dei Radicali lucani – i fanghi presenti erano circa 170 mila tonnellate, nel 2001 si è arrivati a 250 mila”. Nello stesso anno arriva il sequestro. L’Organizzazione Lucana Ambientalista (Ola, ndr) nel suo Dossier ricorda che la zona è tra le più ad alto rischio per la salute in Italia. Sotto terra rifiuti industriali. 59 mila metri quadri, 7 campi di calcio messi insieme caratterizzati dai residui tossici accumulati dopo la chiusura della Liquichimica e da rifiuti di diversa origine sui quali “è quasi certo – denuncia Bolognetti – che qualcuno si sia arricchito facendo affari col traffico dei rifiuti. Ecomafie”. Oltre alle ecomafie in Basilicata s’autodenunciano le industrie. Nel 2006, a Tito, lo fa un’impresa per un pesante atto di contaminazione della falda acquifera e del terreno. Si parla di tricloroetilene, tricloroetano, dicloroetilene, bromodiclorometano, cloroformio, bromoformio, cloruro di vinile monomero, esaclorobutadene, tetracloroetilene, sommatoria organoclorurati e idrocarburi totali. Sostanze tossiche, cancerogene e persistenti, insiste la Ola, riscontrate anche “in percentuali un milione di volte superiori ai limiti consentiti”.
Il 20 agosto 2009, la situazione d’inquinamento del fiume Basento e del fiume Tora porta Bolognetti a consegnare un esposto alla Procura della Repubblica di Potenza. Ma l’acqua scorre. Raggiunge altre contaminazioni prossime al fiume. La zona industriale di Ferrandina, la “pista di volo” e l’area “ex metanolo” di Pisticci. Un report del 2001 dello Studio Omega mostra come nella prima il 41 per cento degli scavi presentano superamenti. C’è di tutto. Idrocarburi policiclici aromatici (Ipa, ndr), con una tossicità – conferma l’Università di Padova – multiorgano e particolarmente implicati nei tumori di polmone, vescica e cute, rene, laringe, mammella, e da un punto di vista immunotossicologico in allergie, immunosoppressione, degenerazione maligna linfocitaria. Rientrano in ricerche sull’aterosclerosi, sulla connessione con malformazioni, deficit funzionali e insufficienza renale dovuti all’esposizione durante la vita neonatale. Per alcune come il benzo-perilene s’arriva a superare il limite di120 volte (vedi box Le analisi). Sostanze assorbite tramite respirazione, attraverso la cute, e mangiando. Cibi affumicati, ma anche alimenti vegetali a foglia larga tipo lattuga, spinaci, e frutta come cereali allo stato grezzo.
E poi metalli pesanti tipo mercurio, che, come cadmio piombo e nichel, oltre al
basento_idrocarburi_foce
cancro possono causare danni ai reni, al sistema nervoso e al sistema immunitario. E c‘è tetracloro-etano. L’International Uniform Chemical Information Database afferma che è difficilmente biodegradabile e molto tossico, per le acque potabili anche in caso di perdite nel sottosuolo di quantità minime. E il benzene? Secondo l’Agenzia Internazionale per la ricerca sul cancro, oltre alla cancerogenicità, vi è una limitata evidenza per una associazione causale con leucemia linfocitica acuta, mieloma multiplo, linfoma non-Hodgkin, e una forte evidenza che i suoi metaboliti producono effetti genotossici. Il limite è 2, nell’area di prelievo segna 22. C’è dicloroetano 34 volte superiore. Come effetti sono state osservate alterazioni epatobiliari, distonie neurovegetative e alterazioni della funzione tiroidea. E per le acque? Si superano i limiti di solfati, manganese, e tricloroetilene, prodotto difficilmente biodegradabile che può provocare effetti negativi per l’ambiente acquatico. Nell’uomo il solito cancro ed è sospettato di causare alterazioni genetiche. Il tricloroetano supera di circa 3 mila volte il limite. L’Agency for Toxic Substances & Disease Registry sottolinea gli effetti sul sistema nervoso ed epatico. Oggi dall’area diaframmata di Ferrandina viene giù un tubo dritto nel Basento.
Il depuratore sembra addormentato. A dieci metri un puzzo forte e acre toglie il respiro. S’immerge nel fiume e torna a galla annerendo l’acqua attorno. Poco più sula Materit, ex fabbrica di manufatti in cemento-amianto. Nella sua caratterizzazione sono risultati livelli d’amianto nel terreno anche 62 mila volte superiori e un inquinamento della falda da esaclorobutadiene, tricloretilene. Ovviamente tutto cancerogeno. Dentro lo stabilimento, non si sa come siano entrati, lavatrici, frigoriferi, cucine. Rifiuti che devono essere stoccati con cautela per i materiali nocivi che contengono. Fuori, nei pozzi di raccolta acque di superficie, poco tempo fa galleggiava un liquido nero e oleoso. A Pisticci Scalo il 44 per cento degli scavi presentano superamenti. È riscontrato mercurio, nichel, rame. Le acque mostrano superamenti di solfati, manganese, la presenza di selenio, cromo, nichel e valori molto elevati di cloruri. L’amianto è diffuso in tutta l’area, e anche qui, come a Tito, s’evidenziano materiali estranei. Una presenza tanto massiccia da far produrre una tabella di rifiuti interrati. C’è di tutto. Persino bidoni corrosi. È lo scenario di un’area utilizzata per smaltimenti illeciti. E si va avanti così da decenni. Nel ’90 una Commissione parlamentare evidenziò gli sversamenti in alcuni pozzi. L’ex Coordinatore di Legambiente in quel periodo denunciò come le tonnellate di rifiuti tossici sversati in discariche abusive in Valbasento rappresentavano solo la punta d’un Iceberg e che nell’area emergeva una notevole incidenza di morti per cancri, malformazioni in persone e animali, un elevato tasso di malattie dell’apparato respiratorio, leucemie.
È la Basilicata borderline, sospesa tra l’idea di incontaminato e aumenti di cancri
tipici di realtà pesantemente inquinate. Nel 2000 un’altra Commissione la ricordò come regione con la percentuale più elevata di produzione di rifiuti speciali cui corrispondeva una bassa industrializzazione. Risultò rilevante che su circa 600 mila tonnellate, di ben oltre la metà non si sapesse la destinazione finale. Fu verbalizzato “presunta gestione illecita”. Il Basento intanto continua a scorrere e senza presumere sfiora queste isole tossiche i cui terreni, con le piogge, diventano pantani che filtrano l’acqua e la reimmettono nel fiume. È il ciclo dell’acqua. Nel 2003 una ricerca del Cnr-Irpi di Bari s’occupò dei rischi di degrado delle acque sotterranee della piana di Metaponto. L’inquinamento caratterizzante le acque sotterranee risultò un “reale problema ambientale”. “Il degrado quantitativo e qualitativo – è scritto – costituiscono un rischio concreto che minaccia le risorse idriche della piana”. Precisava che un’acqua sotterranea molto rara rispetto alle caratteristiche dell’area contraddistingueva i campioni prelevati in prossimità del Basento. Oltre a fenomeni di inquinamento da contaminanti agricoli e perdite da reti fognarie, viste le concentrazioni elevate d’ammoniaca e coliformi totali e fecali, s’evidenziò la presenza di elementi cancerogeni quali l’arsenico, lo zinco e il rame.
Risultati associati alla consapevolezza d’un fiume con un pesante carico inquinante il cui bacino, con la più alta densità abitativa e concentrazione di industrie, rendeva le acque fluviali “soggette a un maggior rischio di inquinamento e, per possibili perdite dal fiume stesso, conseguentemente anche la falda idrica“. Questione seria la falda. Tanto che il 29 marzo di quest’anno il Commissario Straordinario del Comune di Pisticci trasmetteva una deliberazione al Ministero dell’Ambiente, alla Regione, alla Asl e ai comuni interessati con oggetto la bonifica del Sito di interesse nazionale Valbasento (Sin, ndr). A due giorni dalla Conferenza di servizi il Commissario fa presente al Ministero che nel novembre 2006 aveva assegnato 2.272.727 euro per intervenire, “in particolare” si legge, sull’inquinamento della falda, e che la Regione ne aveva resi disponibili altri 2.272.727. “Risultava improcrastinabile definire un percorso certo delle attività di messa in sicurezza, bonifica e risanamento ambientale dell’intero sito, in particolare attraverso gli interventi di bonifica delle acque sotterranee”. E l’Accordo di programma del 2009 ribadiva che ciascuna parte, per la propria competenza, avrebbe dovuto “progettare e realizzare gli interventi di messa in sicurezza delle acque di falda e dei suoli delle aree pubbliche nonché di quelle agricole colpite da inquinamento indotto”. Un’azione importante al punto da incamerare 3.845.454 euro su 4.545.454. Il soggetto attuatore doveva individuarlo Ministero dell’ambiente e Arpab (Agenzia regionale per la protezione ambientale della Basilicata, ndr), e tutti gli interventi avrebbero dovuto concludersi in 24 mesi. “Avrebbero”, perché ad oggi “non si conosce – afferma il Commissario – lo stato d’attuazione degli interventi”. “È etico – ricorda un report dell’Istituto superiore di sanità del 2005 sui Sin – che gli interventi di bonifica vengano posti in opera senza attendere lo sviluppo di casi di malattia conclamata”.
Andrea Spartaco
Fonte: http://www.pisticci.com/territorio/2727-un-fiume-di-veleni
Moria di pesci nel Basento tra Ferrandina e Pisticci
Il Basento è un grave malato che nessuno si preoccupa seriamente di curare. L’ultimo sintomo del pessimo stato di salute del principale fiume lucano è stato registrato lo scorso week end in una zona al confine tra Ferrandina e Pisticci.
Per circa due chilometri le sue acque sono diventate un cimitero di pesci di ogni specie. Carpe, carassi, cavedani, barbi, alborelle e anguille, vittime, molto probabilmente, di qualche sostanza sversata nel fiume. Il suo fondale, nei tratti interessati dal fenomeno, è diventato scuro, macchiato di un prodotto che a vista ed anche a naso sembra avere a che fare con il petrolio o qualche suo derivato.
I risultati delle analisi condotte dall’Arpab sui prelievi evidenziano la bassa presenza di ossigeno ed una elevata quantità di fosfati. Le indagini sulle carni dei pesci, invece, devono ancora essere note. Ma già gli elementi riscontrati potrebbero spiegare il fenomeno.
La Forestale sembra indirizzata a monitorare con attenzione alcuni scarichi nella zona industriale di Ferrandina, ma al momento non sembra essere nota con precisione l’origine dello sversamento. Non si esclude l’ipotesi di un autobotte che illegalmente abbia riversato delle sostanze chimiche nel fiume, facilmente raggiungibile in diversi punti nella zona interessata dalla moria.
L’evidenza immediata porta riscontri sulla vita dei pesci. Ma nei pressi degli argini
basento fondale scuro del fiume abbiamo trovato le tracce evidenti di mandrie e greggi che regolarmente vi si abbeverano, usando la stessa acqua che, seppur impropriamente, può essere utilizzata per irrigare i campi o dissetare un airone così come la selvaggina che poi viene cacciata. Le carni di bovini e caprini, il loro latte ed i suoi derivati, la frutta e gli ortaggi arrivano sulle nostre tavole. I cinghiali, alcuni uccelli ed altre prede sono alimento di cacciatori e delle loro comitive. E tutti questi prodotti rischiano di essere contaminati dalla stesse sostanze che hanno provocato la moria dei pesci. E così il ciclo dell’avvelenamento da chimica entra nei nostri corpi e diventa un affare che ci riguarda da vicino più di quanto si possa immaginare.
A segnalare l’episodio ai Carabinieri ed ai Vigili del Fuoco, sabato scorso, un giovane pisticcese che si trovava in zona e che aveva frequentato lo stesso posto nei giorni precedenti. Francesco Quinto, questo il nome del ragazzo, oltre alla miriade di pesci morti di fronte al cui agghiacciante scenario si è ritrovato non appena sceso dall’auto, ha potuto notare la differenza di colorazione del fondale del fiume e percepire un cattivo odore che non era presente fino a qualche giorno prima. Con Francesco, Pisticci.com ha effettuato un sopralluogo ieri mattina. In acqua c’erano ancora tanti pesci a galla, ammassati soprattutto nelle anse del fiume. Il fondale risulta effettivamente scuro, macchiato da una sostanza nera ed il cattivo odore è evidente. Risaliamo il fiume per alcuni tratti. Lo scenario è lo stesso. La moria di pesci si estende in un percorso del Basento abbastanza lungo. Sufficiente a determinare una emergenza di natura ambientale che rivendica risposte a partire dalla certezze sulle cause della morte dei pesci, sulla tipologia di sostanze depositate sul fondale del fiume e, innanzitutto, sugli autori di questo ennesimo scempio.
Finora, a dire il vero, risposte esaustive non ne sono arrivate su altri casi di
pesci morti riscontrati sul Basento ed anche sul Cavone. Giusto un anno fa, alla foce Cavone, si verificò un’altra moria di pesci. Le analisi sulle carni degli esemplari prelevati non dettero alcuna risposta. Quelle sulle acque non le abbiamo mai conosciute. Una spiegazione definitiva sulle cause del fenomeno non è mai arrivata. E, ovviamente, non è stato individuato alcun responsabile.
Stesso esito per l’inchiesta relativa allo sversamento di idrocarburi nel fiume Basento a partire dal canale di Tecnoparco. Un episodio verificatosi nell’ottobre del 2005, che causò notevoli danni all’ecosistema fluviale, diventato nero pece in diversi tratti e per numerosi chilometri fino alla sua foce. Le analisi evidenziarono elevati valori di cod, sostanze oleose totali ed idrocarburi totali. Ma di responsabili individuati e puniti nemmeno l’ombra.
La speranza, questa volta, è che le indagini possano portare a maggiori certezze e ad una precisa responsabilità. Troppe volte, in questo territorio, il clamore prodotto dalla novità di una notizia ha ceduto il passo agli ingombranti silenzi sopravvenuti non appena il richiamo mediatico ha esaurito la sua capacità di incuriosire. Ed è anche su questa indifferenza che punta per continuare ad agire indisturbato chi reitera a suo vantaggio il culto degli smaltimenti illeciti che, se non è ancora chiaro, spesso fa rima con ecomafia.
Roberto D'Alessandro
Fonte:www.pisticci.com
Per circa due chilometri le sue acque sono diventate un cimitero di pesci di ogni specie. Carpe, carassi, cavedani, barbi, alborelle e anguille, vittime, molto probabilmente, di qualche sostanza sversata nel fiume. Il suo fondale, nei tratti interessati dal fenomeno, è diventato scuro, macchiato di un prodotto che a vista ed anche a naso sembra avere a che fare con il petrolio o qualche suo derivato.
I risultati delle analisi condotte dall’Arpab sui prelievi evidenziano la bassa presenza di ossigeno ed una elevata quantità di fosfati. Le indagini sulle carni dei pesci, invece, devono ancora essere note. Ma già gli elementi riscontrati potrebbero spiegare il fenomeno.
La Forestale sembra indirizzata a monitorare con attenzione alcuni scarichi nella zona industriale di Ferrandina, ma al momento non sembra essere nota con precisione l’origine dello sversamento. Non si esclude l’ipotesi di un autobotte che illegalmente abbia riversato delle sostanze chimiche nel fiume, facilmente raggiungibile in diversi punti nella zona interessata dalla moria.
L’evidenza immediata porta riscontri sulla vita dei pesci. Ma nei pressi degli argini
basento fondale scuro del fiume abbiamo trovato le tracce evidenti di mandrie e greggi che regolarmente vi si abbeverano, usando la stessa acqua che, seppur impropriamente, può essere utilizzata per irrigare i campi o dissetare un airone così come la selvaggina che poi viene cacciata. Le carni di bovini e caprini, il loro latte ed i suoi derivati, la frutta e gli ortaggi arrivano sulle nostre tavole. I cinghiali, alcuni uccelli ed altre prede sono alimento di cacciatori e delle loro comitive. E tutti questi prodotti rischiano di essere contaminati dalla stesse sostanze che hanno provocato la moria dei pesci. E così il ciclo dell’avvelenamento da chimica entra nei nostri corpi e diventa un affare che ci riguarda da vicino più di quanto si possa immaginare.
A segnalare l’episodio ai Carabinieri ed ai Vigili del Fuoco, sabato scorso, un giovane pisticcese che si trovava in zona e che aveva frequentato lo stesso posto nei giorni precedenti. Francesco Quinto, questo il nome del ragazzo, oltre alla miriade di pesci morti di fronte al cui agghiacciante scenario si è ritrovato non appena sceso dall’auto, ha potuto notare la differenza di colorazione del fondale del fiume e percepire un cattivo odore che non era presente fino a qualche giorno prima. Con Francesco, Pisticci.com ha effettuato un sopralluogo ieri mattina. In acqua c’erano ancora tanti pesci a galla, ammassati soprattutto nelle anse del fiume. Il fondale risulta effettivamente scuro, macchiato da una sostanza nera ed il cattivo odore è evidente. Risaliamo il fiume per alcuni tratti. Lo scenario è lo stesso. La moria di pesci si estende in un percorso del Basento abbastanza lungo. Sufficiente a determinare una emergenza di natura ambientale che rivendica risposte a partire dalla certezze sulle cause della morte dei pesci, sulla tipologia di sostanze depositate sul fondale del fiume e, innanzitutto, sugli autori di questo ennesimo scempio.
Finora, a dire il vero, risposte esaustive non ne sono arrivate su altri casi di
pesci morti riscontrati sul Basento ed anche sul Cavone. Giusto un anno fa, alla foce Cavone, si verificò un’altra moria di pesci. Le analisi sulle carni degli esemplari prelevati non dettero alcuna risposta. Quelle sulle acque non le abbiamo mai conosciute. Una spiegazione definitiva sulle cause del fenomeno non è mai arrivata. E, ovviamente, non è stato individuato alcun responsabile.
Stesso esito per l’inchiesta relativa allo sversamento di idrocarburi nel fiume Basento a partire dal canale di Tecnoparco. Un episodio verificatosi nell’ottobre del 2005, che causò notevoli danni all’ecosistema fluviale, diventato nero pece in diversi tratti e per numerosi chilometri fino alla sua foce. Le analisi evidenziarono elevati valori di cod, sostanze oleose totali ed idrocarburi totali. Ma di responsabili individuati e puniti nemmeno l’ombra.
La speranza, questa volta, è che le indagini possano portare a maggiori certezze e ad una precisa responsabilità. Troppe volte, in questo territorio, il clamore prodotto dalla novità di una notizia ha ceduto il passo agli ingombranti silenzi sopravvenuti non appena il richiamo mediatico ha esaurito la sua capacità di incuriosire. Ed è anche su questa indifferenza che punta per continuare ad agire indisturbato chi reitera a suo vantaggio il culto degli smaltimenti illeciti che, se non è ancora chiaro, spesso fa rima con ecomafia.
Roberto D'Alessandro
Fonte:www.pisticci.com
lunedì 19 settembre 2011
Progetto Biancone 2011
Anche quest’anno torna il “Progetto Biancone” finanziato già durante l’anno precedente dall’Osservatorio Faunistico della Regione Basilicata e condotto in collaborazione tra il Parco Regionale di “Gallipoli Cognato Piccole Dolomiti Lucane” e l’Università di Alicante.
Il Biancone (Circaetus gallicus) è una specie migratrice che nidifica in ambienti mediterranei e sverna prevalentemente in Africa, mediante la telemetria satellitare e sfruttando la tecnologia GPS/Argos sarà possibile seguire gli spostamenti dei tre rapaci nei prossimi anni, studiare con precisione le rotte migratorie utilizzate e individuare le aree di svernamento.
Nello scorso luglio sono stati marcati con trasmettitori satellitari tre giovani Bianconi nati all’interno del Parco sito nel cuore della Basilicata, alle tre aquile sono stati dati i nomi di Federico, Pilar e Crocco.
Sul sito internet del Parco, all’interno di una pagina dedicata a questo progetto, sarà possibile seguire la migrazione dei tre animali attraverso aggiornamenti costanti.
Il link per visualizzare le mappe è il seguente:
http://www.parcogallipolicognato.it/ita/web/nav.asp?nav=130
Per ulteriori informazioni contattare:
peppelucia@gmail.com
ugomellone@libero.it
info@pargogallipolicognato.it
Il Biancone (Circaetus gallicus) è una specie migratrice che nidifica in ambienti mediterranei e sverna prevalentemente in Africa, mediante la telemetria satellitare e sfruttando la tecnologia GPS/Argos sarà possibile seguire gli spostamenti dei tre rapaci nei prossimi anni, studiare con precisione le rotte migratorie utilizzate e individuare le aree di svernamento.
Nello scorso luglio sono stati marcati con trasmettitori satellitari tre giovani Bianconi nati all’interno del Parco sito nel cuore della Basilicata, alle tre aquile sono stati dati i nomi di Federico, Pilar e Crocco.
Sul sito internet del Parco, all’interno di una pagina dedicata a questo progetto, sarà possibile seguire la migrazione dei tre animali attraverso aggiornamenti costanti.
Il link per visualizzare le mappe è il seguente:
http://www.parcogallipolicognato.it/ita/web/nav.asp?nav=130
Per ulteriori informazioni contattare:
peppelucia@gmail.com
ugomellone@libero.it
info@pargogallipolicognato.it
domenica 18 settembre 2011
mercoledì 14 settembre 2011
La Basilicata dei boschi, tra interessi e tagli
di Enzo Palazzo
È un naturalista storico, giornalista, autore di 20 libri e 200 pubblicazioni scientifiche. Nel 1971 lanciò il “Progetto Pollino” nell’ambito della prima proposta organica del futuro parco nazionale calabro lucano. A Franco Tassi, che ha diretto per molti anni il Parco Nazionale d’Abruzzo, trasformandolo in un modello d’avanguardia a livello europeo, in un momento in cui lo sfruttamento dei boschi in Basilicata è tornato ad essere una minaccia, la Gazzetta ha chiesto se si può ammettere un ragionevole sfruttamento boschivo anche in un grande Parco nazionale?
«Per armonizzare i molti interessi in gioco, la strada maestra è quella della “zonazione”: nei boschi più vicini si possono consentire ragionevoli prelievi controllati, anche perchè esistono diritti e tradizioni importanti, come l’uso civico di legnatico e fungatico e le feste dell’albero, da interpretare, però, in un modo più attento e compatibile con la tutela ecologica. Ma nelle foreste più lontane, a quote elevate, sulle creste, nelle vallecole e nelle cosiddette “fasce di protezione” non va toccato nulla: qui vige il principio della riserva integrale e deve comandare la natura. Ricordiamo che, come nel Parco d’Abruzzo, anche in quello del Pollino (soprattutto nella parte della Catena Costiera) esistono ancora lembi sparsi e limitati, ma straordinariamente interessanti, di “selva vergine” o semi-naturale. Intervenirvi con piste, ruspe e tagli sarebbe sacrilego».
Come si preservano i boschi naturali e semi-naturali?
«Lasciando che un albero caduto e marcescente si decomponga e di lì rinasca la vita. Salvare le ultime foreste italiane costituisce una priorità assoluta per conservare il clima e le stagioni, difendere il suolo da frane e alluvioni, garantire la produzione di acque eccellenti e cristalline, offrire rifugio alla fauna selvatica. Mezzo secolo fa l’obiettivo dichiarato era il massimo sfruttamento dei boschi, misurato in metri cubi di legname tagliato. L’importanza di preservare anche il legno morto e in disfacimento – la “necromassa” –, dal quale risorge la vita e si sprigionano mille processi di rigenerazione naturale, oggi viene riconosciuta anche a livello internazionale».
Visti i conti sempre più in rosso dei Comuni, non c’è da aspettarsi la spinta allo scempio?
«Un moderato sfruttamento a beneficio di usi e tradizioni locali strettamente vigilati dalle comunità, è senz’altro accettabile. Ma ciò non significa affatto autorizzare grossi tagli industriali, magari per alimentare disastrose centrali a biomasse, come purtroppo si vorrebbe sulla Sila e sul Pollino. Questo significherebbe tornare indietro di mezzo secolo, quando querce e faggi plurisecolari venivano ceduti a due soldi per farne legna da ardere e traversine da ferrovia. A nessun sindaco, in buona o cattiva fede, dovranno essere consentiti errori tanto devastanti, perché non ha senso replicare nel parco i peggiori sistemi praticati fuori dall’area protetta. E’ proprio qui che il parco, usufruendo di tutta l’autorità di cui dispone, deve esercitare il suo controllo, chiamando in causa anche i valori paesaggistici e le tutele internazionali».
Il Parco nazionale della Val d’Agri e del Lagonegrese protegge il territorio a macchia di leopardo. Ha un senso?
«Una struttura articolata in zone è utile, ma solo se i vari usi del suolo, pur differenti tra loro, sono compatibili e armonizzati dal Parco. Debbono in sostanza tendere al fine comune, che è quello di un’area protetta, con tutti i benefici che ne derivano. Se invece sono divergenti, o addirittura opposti, il conflitto prima o poi è inevitabile. Significa prendere in giro la collettività, promettendo la difesa del territorio e della natura, ma perseguendo invece altri scopi meno chiari, magari per interessi inconfessabili».
Ma si possono gestire i parchi commissariandoli, come avviene nella Val d’Agri?
«Dovrebbe avere carattere eccezionale, invece è una comoda pratica sempre più diffusa, che mira a consolidare certi poteri e a renderli indiscussi. Impedire abusi del genere dipende, anche e soprattutto, dalla nostra capacità di vigilanza, intervento e mobilitazione civile».
Enzo Palazzo
L’esempio del Costa Rica con il “restauro ambientale”
«In Costa Rica, uno Stato che punta al benessere e all’equilibrio tra uomo e ambiente, nella Cuenca del Rio La Balsa, al nord del Paese, la gente si è accorta che coltivando e sfruttando troppo la parte alta delle montagne, non aveva più acqua sana e pulita, e la fauna stava scomparendo. L’intera comunità si è allora mobilitata in un grande progetto di restauro ambientale, acquistando piccoli lembi di terra, ricostruendo micro-bacini idrici e piantando alberi. Ad aiutarla, sono intervenute organizzazioni come l’Istituto Nectandra e un sistema di prestiti senza interessi, con lo scopo di ricreare l’ambiente, far crescere la cultura dell’acqua e della foresta, e sviluppare un nuovo tipo di ecoturismo. Ora gli stranieri accorrono qui a scoprire non solo come tutta la comunità partecipi con entusiasmo all’operazione, ma anche come la natura stia rapidamente recuperando i propri spazi. Nel giro di pochi anni, la foresta si è riformata, la biodiversità sta riprendendo il sopravvento e le acque pulite abbondano, a beneficio di tutti. Oggi, attraverso internet, chiunque può vedere cosa stia accadendo dall’altra parte dell’Oceano. Un progetto a medio e lungo termine, un investimento nel futuro, ma anche un impegno nuovo in cui tutti si sentono protagonisti e partecipi.
“Comprare la terra dove nasce l’acqua, piantare alberi e far pace con la natura vuol dire assicurare un futuro anche ai figli dei nostri figli”, è il pensiero che pervade questa nuova cultura del cambiamento, nell’interesse di tutti. Quando anche in Italia, e in Basilicata, riscopriremo che il futuro sta non nel consumare e distruggere, ma nel conservare e ricreare l’armonia e le risorse della natura, allora la scelta tra un vero Parco del futuro e le rapaci aggressioni al territorio attuali sarà semplice, sicura e condivisa».
e.p.
Se il parco diventa un luna park
La sovranità del Parco della Val d’Agri e in generale delle aree protette della Basilicata, secondo gli ambientalisti, è minacciata dalla pressione dei petrolieri. Franco Tassi, tra l’ineluttabilità del conflitto e le strategie tattiche della politica, si dice convinto che «però, quando la gente approfondisce e si muove, le cose vanno ben diversamente, come accadde col movimento popolare contro le scorie nucleari che, nel 2003, bloccò sul nascere una delle più vergognose operazioni ai danni del Mezzogiorno d’Italia: quella che voleva ridurre l’Arco Jonico a pattumiera delle zone ricche».
Ma attualmente l’impressione è che si riscontrino maggiore arroganza delle multinazionali, più leggi inapplicate e più sudditanza della politica rispetto al 2003.
«L’arroganza di tutti i poteri incontrastati si limitano sempre se la gente è unita e decisa. Talvolta il potere tenta di circuire, blandendo le autorità con promesse, collaborazioni e sponsorizzazioni. Iniziative su cui si può anche discutere, ma solo se i vincoli del Parco vengano pienamente rispettati. Altrimenti, il rischio è trasformare i parchi in una specie di luna park, come stava accadendo in America, con la Grand Canyon Company, la società concessionaria dei servizi che stava diventando più potente e politicamente influente del parco stesso». e.p.
La scheda
Le aree protette in Italia sono circa un decimo del territorio di cui neppure un quarto riguarda foreste a vocazione naturale. In Basilicata siamo al 30 per cento del territorio protetto. Ancora un secolo fa Norman Douglas poteva scrivere: “Il bosco di Policoro ha la bellezza aggrovigliata di una giungla tropicale”.
Secondo Tassi, «nessun luogo ha il fascino e la ricchezza culturale, la storia e l’arte, il folclore, il paesaggio, la biodiversità e la capacità di accoglienza dell’Italia e del Mezzogiorno. Ricordo che una sera un turista tedesco, di ritorno al litorale Jonico, dopo una lunga traversata del Pollino e una giornata trascorsa tra la terra e il cielo, esclamò: “Io non so davvero cosa ho fatto di buono nella vita, per meritare di godere meraviglie come queste!”. Ecco qual è la nostra vera ricchezza che non va contaminata, ma custodita con cura e rispetto, così come ci è stata tramandata».
[* Enzo Palazzo - La Gazzetta del Mezzogiorno del 3/9/2011]
È un naturalista storico, giornalista, autore di 20 libri e 200 pubblicazioni scientifiche. Nel 1971 lanciò il “Progetto Pollino” nell’ambito della prima proposta organica del futuro parco nazionale calabro lucano. A Franco Tassi, che ha diretto per molti anni il Parco Nazionale d’Abruzzo, trasformandolo in un modello d’avanguardia a livello europeo, in un momento in cui lo sfruttamento dei boschi in Basilicata è tornato ad essere una minaccia, la Gazzetta ha chiesto se si può ammettere un ragionevole sfruttamento boschivo anche in un grande Parco nazionale?
«Per armonizzare i molti interessi in gioco, la strada maestra è quella della “zonazione”: nei boschi più vicini si possono consentire ragionevoli prelievi controllati, anche perchè esistono diritti e tradizioni importanti, come l’uso civico di legnatico e fungatico e le feste dell’albero, da interpretare, però, in un modo più attento e compatibile con la tutela ecologica. Ma nelle foreste più lontane, a quote elevate, sulle creste, nelle vallecole e nelle cosiddette “fasce di protezione” non va toccato nulla: qui vige il principio della riserva integrale e deve comandare la natura. Ricordiamo che, come nel Parco d’Abruzzo, anche in quello del Pollino (soprattutto nella parte della Catena Costiera) esistono ancora lembi sparsi e limitati, ma straordinariamente interessanti, di “selva vergine” o semi-naturale. Intervenirvi con piste, ruspe e tagli sarebbe sacrilego».
Come si preservano i boschi naturali e semi-naturali?
«Lasciando che un albero caduto e marcescente si decomponga e di lì rinasca la vita. Salvare le ultime foreste italiane costituisce una priorità assoluta per conservare il clima e le stagioni, difendere il suolo da frane e alluvioni, garantire la produzione di acque eccellenti e cristalline, offrire rifugio alla fauna selvatica. Mezzo secolo fa l’obiettivo dichiarato era il massimo sfruttamento dei boschi, misurato in metri cubi di legname tagliato. L’importanza di preservare anche il legno morto e in disfacimento – la “necromassa” –, dal quale risorge la vita e si sprigionano mille processi di rigenerazione naturale, oggi viene riconosciuta anche a livello internazionale».
Visti i conti sempre più in rosso dei Comuni, non c’è da aspettarsi la spinta allo scempio?
«Un moderato sfruttamento a beneficio di usi e tradizioni locali strettamente vigilati dalle comunità, è senz’altro accettabile. Ma ciò non significa affatto autorizzare grossi tagli industriali, magari per alimentare disastrose centrali a biomasse, come purtroppo si vorrebbe sulla Sila e sul Pollino. Questo significherebbe tornare indietro di mezzo secolo, quando querce e faggi plurisecolari venivano ceduti a due soldi per farne legna da ardere e traversine da ferrovia. A nessun sindaco, in buona o cattiva fede, dovranno essere consentiti errori tanto devastanti, perché non ha senso replicare nel parco i peggiori sistemi praticati fuori dall’area protetta. E’ proprio qui che il parco, usufruendo di tutta l’autorità di cui dispone, deve esercitare il suo controllo, chiamando in causa anche i valori paesaggistici e le tutele internazionali».
Il Parco nazionale della Val d’Agri e del Lagonegrese protegge il territorio a macchia di leopardo. Ha un senso?
«Una struttura articolata in zone è utile, ma solo se i vari usi del suolo, pur differenti tra loro, sono compatibili e armonizzati dal Parco. Debbono in sostanza tendere al fine comune, che è quello di un’area protetta, con tutti i benefici che ne derivano. Se invece sono divergenti, o addirittura opposti, il conflitto prima o poi è inevitabile. Significa prendere in giro la collettività, promettendo la difesa del territorio e della natura, ma perseguendo invece altri scopi meno chiari, magari per interessi inconfessabili».
Ma si possono gestire i parchi commissariandoli, come avviene nella Val d’Agri?
«Dovrebbe avere carattere eccezionale, invece è una comoda pratica sempre più diffusa, che mira a consolidare certi poteri e a renderli indiscussi. Impedire abusi del genere dipende, anche e soprattutto, dalla nostra capacità di vigilanza, intervento e mobilitazione civile».
Enzo Palazzo
L’esempio del Costa Rica con il “restauro ambientale”
«In Costa Rica, uno Stato che punta al benessere e all’equilibrio tra uomo e ambiente, nella Cuenca del Rio La Balsa, al nord del Paese, la gente si è accorta che coltivando e sfruttando troppo la parte alta delle montagne, non aveva più acqua sana e pulita, e la fauna stava scomparendo. L’intera comunità si è allora mobilitata in un grande progetto di restauro ambientale, acquistando piccoli lembi di terra, ricostruendo micro-bacini idrici e piantando alberi. Ad aiutarla, sono intervenute organizzazioni come l’Istituto Nectandra e un sistema di prestiti senza interessi, con lo scopo di ricreare l’ambiente, far crescere la cultura dell’acqua e della foresta, e sviluppare un nuovo tipo di ecoturismo. Ora gli stranieri accorrono qui a scoprire non solo come tutta la comunità partecipi con entusiasmo all’operazione, ma anche come la natura stia rapidamente recuperando i propri spazi. Nel giro di pochi anni, la foresta si è riformata, la biodiversità sta riprendendo il sopravvento e le acque pulite abbondano, a beneficio di tutti. Oggi, attraverso internet, chiunque può vedere cosa stia accadendo dall’altra parte dell’Oceano. Un progetto a medio e lungo termine, un investimento nel futuro, ma anche un impegno nuovo in cui tutti si sentono protagonisti e partecipi.
“Comprare la terra dove nasce l’acqua, piantare alberi e far pace con la natura vuol dire assicurare un futuro anche ai figli dei nostri figli”, è il pensiero che pervade questa nuova cultura del cambiamento, nell’interesse di tutti. Quando anche in Italia, e in Basilicata, riscopriremo che il futuro sta non nel consumare e distruggere, ma nel conservare e ricreare l’armonia e le risorse della natura, allora la scelta tra un vero Parco del futuro e le rapaci aggressioni al territorio attuali sarà semplice, sicura e condivisa».
e.p.
Se il parco diventa un luna park
La sovranità del Parco della Val d’Agri e in generale delle aree protette della Basilicata, secondo gli ambientalisti, è minacciata dalla pressione dei petrolieri. Franco Tassi, tra l’ineluttabilità del conflitto e le strategie tattiche della politica, si dice convinto che «però, quando la gente approfondisce e si muove, le cose vanno ben diversamente, come accadde col movimento popolare contro le scorie nucleari che, nel 2003, bloccò sul nascere una delle più vergognose operazioni ai danni del Mezzogiorno d’Italia: quella che voleva ridurre l’Arco Jonico a pattumiera delle zone ricche».
Ma attualmente l’impressione è che si riscontrino maggiore arroganza delle multinazionali, più leggi inapplicate e più sudditanza della politica rispetto al 2003.
«L’arroganza di tutti i poteri incontrastati si limitano sempre se la gente è unita e decisa. Talvolta il potere tenta di circuire, blandendo le autorità con promesse, collaborazioni e sponsorizzazioni. Iniziative su cui si può anche discutere, ma solo se i vincoli del Parco vengano pienamente rispettati. Altrimenti, il rischio è trasformare i parchi in una specie di luna park, come stava accadendo in America, con la Grand Canyon Company, la società concessionaria dei servizi che stava diventando più potente e politicamente influente del parco stesso». e.p.
La scheda
Le aree protette in Italia sono circa un decimo del territorio di cui neppure un quarto riguarda foreste a vocazione naturale. In Basilicata siamo al 30 per cento del territorio protetto. Ancora un secolo fa Norman Douglas poteva scrivere: “Il bosco di Policoro ha la bellezza aggrovigliata di una giungla tropicale”.
Secondo Tassi, «nessun luogo ha il fascino e la ricchezza culturale, la storia e l’arte, il folclore, il paesaggio, la biodiversità e la capacità di accoglienza dell’Italia e del Mezzogiorno. Ricordo che una sera un turista tedesco, di ritorno al litorale Jonico, dopo una lunga traversata del Pollino e una giornata trascorsa tra la terra e il cielo, esclamò: “Io non so davvero cosa ho fatto di buono nella vita, per meritare di godere meraviglie come queste!”. Ecco qual è la nostra vera ricchezza che non va contaminata, ma custodita con cura e rispetto, così come ci è stata tramandata».
[* Enzo Palazzo - La Gazzetta del Mezzogiorno del 3/9/2011]
giovedì 8 settembre 2011
Centri visita Oasi del Materano, tavolo di programmazione
La valorizzazione dell’ambiente produce risultati importanti in termini turistici.
La valorizzazione dell’ambiente, soprattutto se pianificata e in rete, produce risultati importanti in termini turistici. Un principio, dimostrato nei fatti dai numeri che i Centri visita del Materano hanno registrato in questa stagione estiva, che ha guidato l’incontro svoltosi in Provincia (il 6 settembre, n.d.r.) tra: il presidente dell’Ente Franco Stella, il vice presidente Giovanni Bonelli, l’assessore alla Forestazione Angelo Garbellano, il dirigente di settore Enrico De Capua, i rappresentanti del Centro visita dell’Oasi di S. Giuliano Domenico Rizzi e Antonio Di Biase, il referente della Lega Navale Sigismondo Mangialardi per il Centro visita Oasi di Bosco Pantano e il responsabile del Centro recupero animali selvatici dell’Oasi di S. Giuliano Matteo Visceglia.
“Questo incontro – ha esordito l’assessore all’Ambiente, Giovanni Bonelli – ha fissato il raggiungimento di obiettivi importanti, primo tra tutti la decisione di dare continuità al tavolo odierno. Riteniamo fondamentale dare sistematicità e rigore a progetti che si preoccupano della valorizzazione del territorio, e rendendo permanente il tavolo creiamo la bussola del progetto. Un approccio scientifico che consentirà alle due Oasi di contraddistinguersi, a livello nazionale, nello scenario delle riserve naturali.”
Tre i temi al centro della strategia per il rilancio del ruolo delle Oasi: scuole, comunicazione e sinergia.
“Promozione ampia e a tappeto per le direzioni scolastiche di Basilicata, Puglia e Calabria – ha dichiarato l’assessore al Turismo, Angelo Garbellano – che saranno coinvolte nella campagna di comunicazione che le due Oasi metteranno a regime già a partire dalle prossime ore. Un passaggio obbligato quello verso le scuole che rappresentano il primo e naturale bacino di utenza di questa tipologia di offerta. Un work in progress serrato e opportunamente definito da un piano di comunicazione integrato che, oltre a disciplinare l’utilizzo dei vari strumenti, individuerà obiettivi e relativa tempistica.”
“Oggi le nostre eccellenze naturalistiche - ha concluso il presidente Franco Stella - dicono qualcosa di nuovo proprio a partire dalla determinazione a lavorare in sintonia. Per la prima volta i due Centri visita stanno ragionando, insieme alla Provincia, come un corpo unico, il territorio, che si organizza per mettere a valore le proprie risorse. Un traguardo che definisce il nuovo inizio che questa Amministrazione ha inteso dare alla politica turistico ambientale locale: una visione comune che alimenta le prospettive di crescita della economia. Atteggiamento unitario che ci consentirà di realizzare i numerosi progetti che sono in itinere e che le risorse Piot renderanno concreti.”
Matera, 6 settembre 2011
La valorizzazione dell’ambiente, soprattutto se pianificata e in rete, produce risultati importanti in termini turistici. Un principio, dimostrato nei fatti dai numeri che i Centri visita del Materano hanno registrato in questa stagione estiva, che ha guidato l’incontro svoltosi in Provincia (il 6 settembre, n.d.r.) tra: il presidente dell’Ente Franco Stella, il vice presidente Giovanni Bonelli, l’assessore alla Forestazione Angelo Garbellano, il dirigente di settore Enrico De Capua, i rappresentanti del Centro visita dell’Oasi di S. Giuliano Domenico Rizzi e Antonio Di Biase, il referente della Lega Navale Sigismondo Mangialardi per il Centro visita Oasi di Bosco Pantano e il responsabile del Centro recupero animali selvatici dell’Oasi di S. Giuliano Matteo Visceglia.
“Questo incontro – ha esordito l’assessore all’Ambiente, Giovanni Bonelli – ha fissato il raggiungimento di obiettivi importanti, primo tra tutti la decisione di dare continuità al tavolo odierno. Riteniamo fondamentale dare sistematicità e rigore a progetti che si preoccupano della valorizzazione del territorio, e rendendo permanente il tavolo creiamo la bussola del progetto. Un approccio scientifico che consentirà alle due Oasi di contraddistinguersi, a livello nazionale, nello scenario delle riserve naturali.”
Tre i temi al centro della strategia per il rilancio del ruolo delle Oasi: scuole, comunicazione e sinergia.
“Promozione ampia e a tappeto per le direzioni scolastiche di Basilicata, Puglia e Calabria – ha dichiarato l’assessore al Turismo, Angelo Garbellano – che saranno coinvolte nella campagna di comunicazione che le due Oasi metteranno a regime già a partire dalle prossime ore. Un passaggio obbligato quello verso le scuole che rappresentano il primo e naturale bacino di utenza di questa tipologia di offerta. Un work in progress serrato e opportunamente definito da un piano di comunicazione integrato che, oltre a disciplinare l’utilizzo dei vari strumenti, individuerà obiettivi e relativa tempistica.”
“Oggi le nostre eccellenze naturalistiche - ha concluso il presidente Franco Stella - dicono qualcosa di nuovo proprio a partire dalla determinazione a lavorare in sintonia. Per la prima volta i due Centri visita stanno ragionando, insieme alla Provincia, come un corpo unico, il territorio, che si organizza per mettere a valore le proprie risorse. Un traguardo che definisce il nuovo inizio che questa Amministrazione ha inteso dare alla politica turistico ambientale locale: una visione comune che alimenta le prospettive di crescita della economia. Atteggiamento unitario che ci consentirà di realizzare i numerosi progetti che sono in itinere e che le risorse Piot renderanno concreti.”
Matera, 6 settembre 2011
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