sabato 31 dicembre 2011
lunedì 26 dicembre 2011
Matera: natività con i falchi incappucciati
Candidata alla cultura 2019, espone in piazza falchi in cattività
GEAPRESS – Matera, candidata europea della cultura per l’anno 2019, festeggia il Natale con animali in piazza, bloccati in un trespolo o addirittura incappucciati. Si agitano, dice un falconiere, e allora si mette il cappuccio. Ma perché si agita, chiediamo al falconiere. Le luci, i rumori, poi però si insospettisce e assicura che sono nati tutti in cattività, che sono tranquilli, vivono con loro, lavorano con loro. I soliti discorsi, insomma.
Il cappuccio di cuoio a coprire gli occhi, è un uso storico della falconeria. La migliore dimostrazione di come un animale deve subire una privazione per vivere a contatto con l’uomo. Poi vengono lanciati, su un uccello in volo, come durante la caccia, oppure semplicemente a fare un giro. Verranno richiamati e in premio avranno un pezzettino di carne. Rinforzo positivo, si chiama in addestramento.
Nello spettacolo, li chiamano Ciro o Gennarino, e con un megafono, richiamando l’attenzione dei bambini, si fa finta che riconoscano il loro nome. Hanno fame e devono mangiare. Un falco satollo, semplicemente non vola per ricevere in cambio qualcosa che non vuole. Vale lo stesso per i delfini nelle vasche dei delfinari, come per una tigre in addestramento. Oppure per lo zuccherino ad un elefante che ha appena finito di “suonare” il trombone in un circo. Fanno sempre le stesse cose.
Per i falchi, tutto ciò è possibile perché la legge sulla caccia del 1992 (la stessa che consente ad un cacciatore di uccidere in due diversi episodi una specie protetta, per avere infine solo momentaneamente sospeso il porto d’armi), ha autorizzato l’uso dei falchi nella caccia. Da allora è stata un’esplosione, non tanto di cacciatori con i falchi, ma piuttosto di falconieri che pagati dalle pubbliche amministrazioni, si mostrano in piazza vestiti da damigelle e cavalieri. Ditte che forniscono di tutto. Fari, scenografie, cavalli di improbabili guerrieri medioevali e falchi. Poi, un cliente che paga. In genere Comuni, ma anche Province, Pro Loco, Comunità montane, finanche Comitati rionali di feste parrocchiali. Tra citazioni di Federico II, e mandati di pagamento, ecco come si presenta il medioevo in Italia. Con i falchi sui trespoli ed altri incappucciati. A Matera c’era la Civetta delle Nevi, la Poiana ferruginosa, ma anche il Corvo imperiale.
Tutto a posto, per carità. Regolare documentazione, agli atti dello stesso Comando locale del Corpo Forestale. Sta di fatto, però, che dal 1992, la depredazione dei rapaci dal nido in natura ha avuto un vero e proprio boom. Ha dirlo non sono i soliti animalisti che gli animali li vorrebbero tali, e non pupazzi al servizio dell’uomo. Basta leggere gli stessi comunicati del Corpo Forestale. I sequestri operati, le denunce e il principale movente di questo traffico: gli spettacoli medioevali (in genere pagati dalle pubbliche amministrazioni).
Matera, candidata città della cultura, ha festeggiato la natività con i falchi in cattività. A Matera il tutto avviene per un motivo culturale, ovvero la rievocazione di Alano da Matera (che però era un astronomo e filosofo, e non un falconiere). Ed allora si prendono i falchi. A quando un Campo dei Fiori romano con un attore che si brucia rievocando Giordano Bruno? A quei tempi, anche questi erano spettacoli.
Immagini e video qui
Fonte: www.geapress.org 25/12/2011
GEAPRESS – Matera, candidata europea della cultura per l’anno 2019, festeggia il Natale con animali in piazza, bloccati in un trespolo o addirittura incappucciati. Si agitano, dice un falconiere, e allora si mette il cappuccio. Ma perché si agita, chiediamo al falconiere. Le luci, i rumori, poi però si insospettisce e assicura che sono nati tutti in cattività, che sono tranquilli, vivono con loro, lavorano con loro. I soliti discorsi, insomma.
Il cappuccio di cuoio a coprire gli occhi, è un uso storico della falconeria. La migliore dimostrazione di come un animale deve subire una privazione per vivere a contatto con l’uomo. Poi vengono lanciati, su un uccello in volo, come durante la caccia, oppure semplicemente a fare un giro. Verranno richiamati e in premio avranno un pezzettino di carne. Rinforzo positivo, si chiama in addestramento.
Nello spettacolo, li chiamano Ciro o Gennarino, e con un megafono, richiamando l’attenzione dei bambini, si fa finta che riconoscano il loro nome. Hanno fame e devono mangiare. Un falco satollo, semplicemente non vola per ricevere in cambio qualcosa che non vuole. Vale lo stesso per i delfini nelle vasche dei delfinari, come per una tigre in addestramento. Oppure per lo zuccherino ad un elefante che ha appena finito di “suonare” il trombone in un circo. Fanno sempre le stesse cose.
Per i falchi, tutto ciò è possibile perché la legge sulla caccia del 1992 (la stessa che consente ad un cacciatore di uccidere in due diversi episodi una specie protetta, per avere infine solo momentaneamente sospeso il porto d’armi), ha autorizzato l’uso dei falchi nella caccia. Da allora è stata un’esplosione, non tanto di cacciatori con i falchi, ma piuttosto di falconieri che pagati dalle pubbliche amministrazioni, si mostrano in piazza vestiti da damigelle e cavalieri. Ditte che forniscono di tutto. Fari, scenografie, cavalli di improbabili guerrieri medioevali e falchi. Poi, un cliente che paga. In genere Comuni, ma anche Province, Pro Loco, Comunità montane, finanche Comitati rionali di feste parrocchiali. Tra citazioni di Federico II, e mandati di pagamento, ecco come si presenta il medioevo in Italia. Con i falchi sui trespoli ed altri incappucciati. A Matera c’era la Civetta delle Nevi, la Poiana ferruginosa, ma anche il Corvo imperiale.
Tutto a posto, per carità. Regolare documentazione, agli atti dello stesso Comando locale del Corpo Forestale. Sta di fatto, però, che dal 1992, la depredazione dei rapaci dal nido in natura ha avuto un vero e proprio boom. Ha dirlo non sono i soliti animalisti che gli animali li vorrebbero tali, e non pupazzi al servizio dell’uomo. Basta leggere gli stessi comunicati del Corpo Forestale. I sequestri operati, le denunce e il principale movente di questo traffico: gli spettacoli medioevali (in genere pagati dalle pubbliche amministrazioni).
Matera, candidata città della cultura, ha festeggiato la natività con i falchi in cattività. A Matera il tutto avviene per un motivo culturale, ovvero la rievocazione di Alano da Matera (che però era un astronomo e filosofo, e non un falconiere). Ed allora si prendono i falchi. A quando un Campo dei Fiori romano con un attore che si brucia rievocando Giordano Bruno? A quei tempi, anche questi erano spettacoli.
Immagini e video qui
Fonte: www.geapress.org 25/12/2011
mercoledì 21 dicembre 2011
lunedì 19 dicembre 2011
Ballerina d'inverno
Da alcuni giorni una Ballerina gialla viene a cercare cibo davanti alle voliere del Centro Recupero Animali Selvatici di San Giuliano.
domenica 18 dicembre 2011
Eolico alle porte della città dei Sassi
Alla fine toccò anche alla Città dei Sassi, patrimonio dell’Umanità. Quattordici aereoturbine (pale eoliche) alte 130 metri della potenza complessiva di 35 mw. saranno installate in località Verzellino. Dovrebbe essere quell’area che è a nord di Matera, dietro la collina che si vede al lato del centro commerciale Venusio, proprio dietro l’antica masseria diroccata su cui campeggia un grande “Vendesi”. Le 14 turbine si vedranno bene da Matera città e, molto probabilmente, persino da Gravina: altereranno i profili degli splendidi campi di grano che circondano la città d’arte lucana. Campi che creano una cornice orografica unica ad una città che ha già incantato l’Unesco e che anche in quella contrada conservano alcune masserie storiche, come San Domenico, o luoghi di culto, come Picciano, o masserie agricole attive, come Dragone.
Le 14 pale eoliche le realizzerà la Marcopolo Engineering SpA, con sede a Borgo San Dalmazzo (Cn), la quale alla Regione ha richiesto il parere di Via, Valutazione di impatto ambientale, necessario alla realizzazione dell’impianto eolico. La società è la stessa che ha presentato, in contrada Bersagliera, nel territorio di Montalbano Jonico, che è sede della Riserva del “Geosito dei Calanchi” (il parco eolico è previsto al confine con la riserva), una richiesta di altre 9 turbine per un totale di 22,5 mw. da aggiungere ai 35 di Matera, per complessivi (sulla carta) 57,5 mw. Produzione energetica sufficiente più o meno a coprire i consumi energetici delle circa 15 mila famiglie materane, più la sua area industriale, ma ai materani e alle loro imprese andrà il sicuro impatto ambientale, ma zero euro e zero energia gratuita. Se il trattamento è lo stesso previsto per il Comune di Montalbano Jonico, la Città di Matera beneficerà dal 4 all’8 per cento di compensazione in moneta (intorno alle 70mila euro all’anno per 20 anni), più alcune realizzazioni di arredo urbano. Mentre alla Marcopolo Engineering, pagati col 7 per cento della bolletta Enel dei cittadini, andranno una marea di soldi in incentivi, più di qualche milione di euro all’anno dai due impianti. Finiti i 20 anni, non si capisce chi smantellerà questi impianti impattanti, verso cui le associazioni ambientaliste nutrono dubbi che siano realmente collegate alla rete energetica nazionale. Col rischio, in tal caso, che restituiscano al vento, ciò che dovrebbero produrre dal vento, ma non prima di aver trattenuto l’attraente incentivo.
È il problema dell’energia rinnovabile gestita con la sufficienza e la confusione del “Italian style” in tema di riciclo ambientale, che ad esempio non ha una rete autonoma per il recupero e l’accumulo delle energie rinnovabili. Questione sollevata anche dall’economista Jeremy Rifkin in un recente convegno a Potenza, come limite concreto allo sviluppo di ciò che egli chiama “la Terza rivoluzione industriale”. Cioè quella possibilità di smuovere l’economia di un territorio rendendolo energeticamente libero e autosufficiente da una produzione/distribuzione dell’energia verticistica e monopolistica, che si può attuare se, come denunciano da tempo anche le associazioni di cittadini e i movimenti ambientalisti, «la si smette di speculare sull’energia rinnovabile con i grandi parchi eolici o fotovoltaici e la si concede a edifici, famiglie e imprese». I cui costi di gestione più pesanti sono rappresentati proprio da quelli energetici.
Incentivi dello stato per impianti industriali
Più che il vento, poté l’incentivo? Mentre in Italia i parchi eolici (e non solo) spopolano, in Francia se ne contano “solo” 4 mila pale di eoliche su tutto il territorio nazionale. La sola Basilicata ha già 200 torri, finora collocate lungo la dorsale appenninica che da Potenza porta a Melfi, più la dorsale di Grottole sulla Basentana e l’impianto di Rotondella lungo la valle del Sinni. Ma aspira ad averne, stando al suo Piano energetico regionale, fino a 1360, circa un terzo dell’intera Francia. La Basilicata ha dunque più vento della Francia?
In Italia e in Basilicata sono in molti oramai a contestare questa gestione verticistica delle rinnovabili che, tra energia prodotta dai rifiuti e assimilata alle rinnovabili (unico Paese al mondo con tale legiferazione) e grandi parchi fotovoltaici ed eolici, non fanno che consumare territorio e togliere risorse all’autonomia energetica della collettività, catalizzando, per conto di società private, più incentivi che sole e il vento.
All’impianto materano della Marcopolo Engineering, così come a quello di Montalbano, è possibile presentare le osservazioni entro e non oltre il 24 gennaio del 2012. Le possono presentare i singoli cittadini, le associazioni, i movimenti, gli enti e persino i Comuni. Ai quali ultimi, la domanda è diretta: presenteranno proprie osservazioni visto il valore ambientale del loro territorio municipale?
[Enzo Palazzo - La Gazzetta del Mezzogiorno 14/12/2011]
Le 14 pale eoliche le realizzerà la Marcopolo Engineering SpA, con sede a Borgo San Dalmazzo (Cn), la quale alla Regione ha richiesto il parere di Via, Valutazione di impatto ambientale, necessario alla realizzazione dell’impianto eolico. La società è la stessa che ha presentato, in contrada Bersagliera, nel territorio di Montalbano Jonico, che è sede della Riserva del “Geosito dei Calanchi” (il parco eolico è previsto al confine con la riserva), una richiesta di altre 9 turbine per un totale di 22,5 mw. da aggiungere ai 35 di Matera, per complessivi (sulla carta) 57,5 mw. Produzione energetica sufficiente più o meno a coprire i consumi energetici delle circa 15 mila famiglie materane, più la sua area industriale, ma ai materani e alle loro imprese andrà il sicuro impatto ambientale, ma zero euro e zero energia gratuita. Se il trattamento è lo stesso previsto per il Comune di Montalbano Jonico, la Città di Matera beneficerà dal 4 all’8 per cento di compensazione in moneta (intorno alle 70mila euro all’anno per 20 anni), più alcune realizzazioni di arredo urbano. Mentre alla Marcopolo Engineering, pagati col 7 per cento della bolletta Enel dei cittadini, andranno una marea di soldi in incentivi, più di qualche milione di euro all’anno dai due impianti. Finiti i 20 anni, non si capisce chi smantellerà questi impianti impattanti, verso cui le associazioni ambientaliste nutrono dubbi che siano realmente collegate alla rete energetica nazionale. Col rischio, in tal caso, che restituiscano al vento, ciò che dovrebbero produrre dal vento, ma non prima di aver trattenuto l’attraente incentivo.
È il problema dell’energia rinnovabile gestita con la sufficienza e la confusione del “Italian style” in tema di riciclo ambientale, che ad esempio non ha una rete autonoma per il recupero e l’accumulo delle energie rinnovabili. Questione sollevata anche dall’economista Jeremy Rifkin in un recente convegno a Potenza, come limite concreto allo sviluppo di ciò che egli chiama “la Terza rivoluzione industriale”. Cioè quella possibilità di smuovere l’economia di un territorio rendendolo energeticamente libero e autosufficiente da una produzione/distribuzione dell’energia verticistica e monopolistica, che si può attuare se, come denunciano da tempo anche le associazioni di cittadini e i movimenti ambientalisti, «la si smette di speculare sull’energia rinnovabile con i grandi parchi eolici o fotovoltaici e la si concede a edifici, famiglie e imprese». I cui costi di gestione più pesanti sono rappresentati proprio da quelli energetici.
Incentivi dello stato per impianti industriali
Più che il vento, poté l’incentivo? Mentre in Italia i parchi eolici (e non solo) spopolano, in Francia se ne contano “solo” 4 mila pale di eoliche su tutto il territorio nazionale. La sola Basilicata ha già 200 torri, finora collocate lungo la dorsale appenninica che da Potenza porta a Melfi, più la dorsale di Grottole sulla Basentana e l’impianto di Rotondella lungo la valle del Sinni. Ma aspira ad averne, stando al suo Piano energetico regionale, fino a 1360, circa un terzo dell’intera Francia. La Basilicata ha dunque più vento della Francia?
In Italia e in Basilicata sono in molti oramai a contestare questa gestione verticistica delle rinnovabili che, tra energia prodotta dai rifiuti e assimilata alle rinnovabili (unico Paese al mondo con tale legiferazione) e grandi parchi fotovoltaici ed eolici, non fanno che consumare territorio e togliere risorse all’autonomia energetica della collettività, catalizzando, per conto di società private, più incentivi che sole e il vento.
All’impianto materano della Marcopolo Engineering, così come a quello di Montalbano, è possibile presentare le osservazioni entro e non oltre il 24 gennaio del 2012. Le possono presentare i singoli cittadini, le associazioni, i movimenti, gli enti e persino i Comuni. Ai quali ultimi, la domanda è diretta: presenteranno proprie osservazioni visto il valore ambientale del loro territorio municipale?
[Enzo Palazzo - La Gazzetta del Mezzogiorno 14/12/2011]
sabato 17 dicembre 2011
Uomini del Corpo Forestale hanno rinvenuto cinghiali uccisi nella Riserva di San Giuliano
Quattro carcasse di cinghiale sono state ritrovate nei giorni scorsi dal Corpo Forestale dello Stato – Comando Stazione Forestale di Matera - all’interno della Riserva Naturale Protetta dell’Oasi di San Giuliano, coadiuvati dal personale della Polizia Provinciale di Matera.
Durante una serie di controlli venatori all’interno della Riserva Naturale Protetta dell’Oasi di San Giuliano, gli uomini del Corpo Forestale dello Stato – Comando Stazione Forestale di Matera, coadiuvati dal personale della Polizia Provinciale di Matera, hanno i quattro esemplari morti già da qualche giorno, uccisi presumibilmente da bracconieri con l’ausilio di arma da fuoco così come refertati dal Dirigente Veterinario intervenuto sul luogo del ritrovamento; lo stesso ha provveduto all’immediato sequestro sanitario e contestuale disposizione alla distruzione delle carcasse degli animali presso un inceneritore, operata dalla ditta “Matera Pets S.r.l.” incaricata dall’Ente Provinciale di Matera.
Il fenomeno del bracconaggio in territorio materano, in particolare della caccia al cinghiale è molto diffuso, in quanto ne sono stati avvistati cospicui capi soprattutto all’interno delle aree protette.
La normativa sulla caccia vieta categoricamente l’esercizio venatorio all’interno delle aree naturali protette, per questo evidentemente i bracconieri dopo aver abbattuto i citati capi di cinghiali, intimoriti dalla presenza sul posto degli uomini del Corpo Forestale e della Polizia Provinciale che da parecchi giorni effettua controlli soprattutto ai cacciatori che attraversano la Riserva Naturale Protetta dell’Oasi di San Giuliano, se ne sono disfatti per poterli recuperare successivamente.
Durante una serie di controlli venatori all’interno della Riserva Naturale Protetta dell’Oasi di San Giuliano, gli uomini del Corpo Forestale dello Stato – Comando Stazione Forestale di Matera, coadiuvati dal personale della Polizia Provinciale di Matera, hanno i quattro esemplari morti già da qualche giorno, uccisi presumibilmente da bracconieri con l’ausilio di arma da fuoco così come refertati dal Dirigente Veterinario intervenuto sul luogo del ritrovamento; lo stesso ha provveduto all’immediato sequestro sanitario e contestuale disposizione alla distruzione delle carcasse degli animali presso un inceneritore, operata dalla ditta “Matera Pets S.r.l.” incaricata dall’Ente Provinciale di Matera.
Il fenomeno del bracconaggio in territorio materano, in particolare della caccia al cinghiale è molto diffuso, in quanto ne sono stati avvistati cospicui capi soprattutto all’interno delle aree protette.
La normativa sulla caccia vieta categoricamente l’esercizio venatorio all’interno delle aree naturali protette, per questo evidentemente i bracconieri dopo aver abbattuto i citati capi di cinghiali, intimoriti dalla presenza sul posto degli uomini del Corpo Forestale e della Polizia Provinciale che da parecchi giorni effettua controlli soprattutto ai cacciatori che attraversano la Riserva Naturale Protetta dell’Oasi di San Giuliano, se ne sono disfatti per poterli recuperare successivamente.
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giovedì 15 dicembre 2011
Ritrovamento di Puzzola a Montescaglioso
A distanza di 9 mesi esatti dall'ultimo ritrovamento in provincia di Matera (14 marzo 2011) il 14 dicembre scorso è stata effettuato un nuovo rilevamento sulla presenza della Puzzola (Mustela putorius) in Basilicata. Il corpo di un esemplare è stato rinvenuto, investito da un veicolo, dal Centro Provinciale Recupero Animali Selvatici di San Giuliano lungo una strada a pochi km dall'abitato di Montescaglioso e nei pressi del fiume Bradano.
Questo ritrovamento permette di aggiungere una nuova tessera al mosaico, ancora molto parziale, delle segnalazioni regionali accertate che stiamo cercando di realizzare in collaborazione con lo studio Milvus al fine di studiare la presenza effettiva di questa elusiva e poco conosciuta specie di mustelide nel nostro territorio.
La Puzzola si distingue dalla più comune e diffusa faina (di cui si rinvengono centinaia di cadaveri lungo le strade) per avere il corpo con tonalità bruno dorate, una mascherina di pelo più chiaro intorno al muso e dietro gli occhi. La dimensione è piuttosto variabile e va dai 30 ai 47 cm di lunghezza (coda tra 12 e 19 cm) a seconda del sesso (maschi più grandi delle femmine). Anche il peso può variare dai 450 g ai 2 kg.
La specie è considerata a livello globale "Least Concern"; ciò significa che non desta molta preoccupazione in relazione alla sua ampia distribuzione e perché è improbabile che possa rapidamente diminuire ad un tasso tale da richiederne l'inclusione in una categoria minacciata.
In Italia pur essendo abbastanza diffusa è considerata "Data deficient" (conoscenza insufficiente) ed in Basilicata i dati sono ancora più scarsi, visto il limitato numero di persone che si occupano di monitoraggio faunistico. Perciò chi volesse collaborare a questa ricerca è pregato di mettersi in contatto con il Centro Recupero di San Giuliano (339-1637510) nel caso il ritrovamento sia effettuato in provincia di Matera o con lo Studio Milvus (338-1305096) nel caso riguardi la provincia di Potenza.
Campioni biologici dell'esemplare sono stati prelevati e conservati per essere messi a disposizione di studiosi e ricercatori italiani e stranieri interessati ad approfondire alcuni aspetti ecologici e genetici su questa specie ancora poco conosciuta e studiata nella nostra regione. Tra le università interessate a studiare gli esemplari lucani che sono stati finora recuperati c'è quella di Perugia con il suo Dipartimento di Zoologia guidato dal Prof Ragni, uno dei massimo esperti che si occupano di mammiferi di interesse zoogeografico.
Questo ritrovamento permette di aggiungere una nuova tessera al mosaico, ancora molto parziale, delle segnalazioni regionali accertate che stiamo cercando di realizzare in collaborazione con lo studio Milvus al fine di studiare la presenza effettiva di questa elusiva e poco conosciuta specie di mustelide nel nostro territorio.
La Puzzola si distingue dalla più comune e diffusa faina (di cui si rinvengono centinaia di cadaveri lungo le strade) per avere il corpo con tonalità bruno dorate, una mascherina di pelo più chiaro intorno al muso e dietro gli occhi. La dimensione è piuttosto variabile e va dai 30 ai 47 cm di lunghezza (coda tra 12 e 19 cm) a seconda del sesso (maschi più grandi delle femmine). Anche il peso può variare dai 450 g ai 2 kg.
La specie è considerata a livello globale "Least Concern"; ciò significa che non desta molta preoccupazione in relazione alla sua ampia distribuzione e perché è improbabile che possa rapidamente diminuire ad un tasso tale da richiederne l'inclusione in una categoria minacciata.
In Italia pur essendo abbastanza diffusa è considerata "Data deficient" (conoscenza insufficiente) ed in Basilicata i dati sono ancora più scarsi, visto il limitato numero di persone che si occupano di monitoraggio faunistico. Perciò chi volesse collaborare a questa ricerca è pregato di mettersi in contatto con il Centro Recupero di San Giuliano (339-1637510) nel caso il ritrovamento sia effettuato in provincia di Matera o con lo Studio Milvus (338-1305096) nel caso riguardi la provincia di Potenza.
Campioni biologici dell'esemplare sono stati prelevati e conservati per essere messi a disposizione di studiosi e ricercatori italiani e stranieri interessati ad approfondire alcuni aspetti ecologici e genetici su questa specie ancora poco conosciuta e studiata nella nostra regione. Tra le università interessate a studiare gli esemplari lucani che sono stati finora recuperati c'è quella di Perugia con il suo Dipartimento di Zoologia guidato dal Prof Ragni, uno dei massimo esperti che si occupano di mammiferi di interesse zoogeografico.
mercoledì 14 dicembre 2011
Come trasformare il Lupo in una belva sanguinaria
I toni allarmistici di alcuni giornali che in questi giorni hanno commentato la notizia dell'assalto di lupi ad un allevamento di bufali a Irsina (Mt), non aiutano a capire bene le dinamiche e le problematiche legate alla presenza di questa specie in Italia e, nel nostro caso, in Basilicata.
La situazione è certamente difficile per l'imprenditore che ha subito danni da lupo (e su questo tema ci sarebbe da fare un discorso specifico e complesso in merito alla prevenzione e al risarcimento) ma non è assolutamente accettabile, dal punto di vista scientifico che si scrivano certe cose, anche perchè si ottiene il risultato di creare odio viscerale verso una specie animale protetta che è considerata tra le più importanti a livello europeo e per la quale lo Stato e la Commissione Europea hanno investito molto per favorire un processo di conoscenza e rispetto considerato propedeutico al suo ritorno nei territori da dove era scomparso.
1 - Abbiamo letto che il Lupo è stato reintrodotto, cioè che via sia stato un ripopolamento in alcune aree d'Italia. Nulla di più falso! C'è una estesa letteratura scientifica e divulgativa che dimostra che il ritorno del lupo, o meglio la sua espansione e ricolonizzazione di alcune aree, è un fatto naturale determinato da alcuni fattori positivi ed in particolare la presenza di più prede selvatiche (soprattutto ungulati) negli ambienti naturali insieme alla generale protezione accordata alla specie e agli habitat frequentati;
2 - Abbiamo letto che i lupi visti presso l'Azienda Squicciarini "sono grandi come una vecchia Fiat 126"! Queste frasi hanno più il sapore di una copertina de "La Domenica del Corriere", la famosa rivista del secolo scorso che ha avuto un grande ruolo nella informazione degli italiani tra gli anni 20 e gli anni 30. Le dimensioni gonfiate di un animale, si sa, servono più a creare falsi miti e ingiustificati allarmismi.
3 - Abbiamo letto che si sta pensando di catturare e spostare altrove i lupi in modo che non possano dare fastidio. Una iniziativa inutile ed improbabile visto che certamente non godrà di alcun supporto da parte di tutte le istituzioni scientifiche italiane ed internazionali.
4 - Abbiamo letto che "quando i lupi sono affamati non sempre distinguono tra uomo e animale per nutrirsi". Aggressioni e uccisioni di uomini, che da secoli convivono nelle zone di presenza del Lupo, non ci pare siano documentati! Semmai sono tanti gli uomini aggrediti e uccisi da cani.
Storie di lupi in Italia e nel Mondo ce ne sono migliaia ed hanno attraversato tutti i secoli contribuendo a creare una infinità di immagini a volte positive e a volte negative. Ci sono aree protette in Italia che sono nate e sono cresciute (con tutto l'indotto creato da un turismo che ha visto per anni livelli crescenti) grazie alla presenza di questo magnifico predatore. Purtroppo sono tanti i casi in cui dopo episodi come quelli di Irsina, si piomba nell'arido allarmismo che non aiuta nessuno. I lupi che hanno cercato di bussare alle porte del Parco Regionale della Murgia Materana hanno avuto il benservito da ignoti residenti (e forse neanche cacciatori) che, armati di fucile, hanno pensato di non dare loro possibilità di sopravvivenza neanche all'interno di un' area protetta. E la stessa cosa avviene ogni anno in altri parchi lucani e d'Italia. Per il mantenimento degli equilibri e per la conservazione della Biodiversità anche i lupi devono comunque sopravvivere e gli allevatori devono imparare a convivere, come fanno in altre aree, utilizzando ogni accorgimento utile e precauzione adatta, certamente non da soli ma con l'aiuto delle istituzioni e del mondo scientifico.
Rassegna stampa locale:
TRM TV del 14 dicembre 2011
Il Quotidiano di Basilicata del 14 dicembre 2011
TRM TV del 13 dicembre 2011
Il Quotidiano di Basilicata del 13 dicembre 2011
TRM TV del 10 dicembre 2011
La situazione è certamente difficile per l'imprenditore che ha subito danni da lupo (e su questo tema ci sarebbe da fare un discorso specifico e complesso in merito alla prevenzione e al risarcimento) ma non è assolutamente accettabile, dal punto di vista scientifico che si scrivano certe cose, anche perchè si ottiene il risultato di creare odio viscerale verso una specie animale protetta che è considerata tra le più importanti a livello europeo e per la quale lo Stato e la Commissione Europea hanno investito molto per favorire un processo di conoscenza e rispetto considerato propedeutico al suo ritorno nei territori da dove era scomparso.
1 - Abbiamo letto che il Lupo è stato reintrodotto, cioè che via sia stato un ripopolamento in alcune aree d'Italia. Nulla di più falso! C'è una estesa letteratura scientifica e divulgativa che dimostra che il ritorno del lupo, o meglio la sua espansione e ricolonizzazione di alcune aree, è un fatto naturale determinato da alcuni fattori positivi ed in particolare la presenza di più prede selvatiche (soprattutto ungulati) negli ambienti naturali insieme alla generale protezione accordata alla specie e agli habitat frequentati;
2 - Abbiamo letto che i lupi visti presso l'Azienda Squicciarini "sono grandi come una vecchia Fiat 126"! Queste frasi hanno più il sapore di una copertina de "La Domenica del Corriere", la famosa rivista del secolo scorso che ha avuto un grande ruolo nella informazione degli italiani tra gli anni 20 e gli anni 30. Le dimensioni gonfiate di un animale, si sa, servono più a creare falsi miti e ingiustificati allarmismi.
3 - Abbiamo letto che si sta pensando di catturare e spostare altrove i lupi in modo che non possano dare fastidio. Una iniziativa inutile ed improbabile visto che certamente non godrà di alcun supporto da parte di tutte le istituzioni scientifiche italiane ed internazionali.
4 - Abbiamo letto che "quando i lupi sono affamati non sempre distinguono tra uomo e animale per nutrirsi". Aggressioni e uccisioni di uomini, che da secoli convivono nelle zone di presenza del Lupo, non ci pare siano documentati! Semmai sono tanti gli uomini aggrediti e uccisi da cani.
Storie di lupi in Italia e nel Mondo ce ne sono migliaia ed hanno attraversato tutti i secoli contribuendo a creare una infinità di immagini a volte positive e a volte negative. Ci sono aree protette in Italia che sono nate e sono cresciute (con tutto l'indotto creato da un turismo che ha visto per anni livelli crescenti) grazie alla presenza di questo magnifico predatore. Purtroppo sono tanti i casi in cui dopo episodi come quelli di Irsina, si piomba nell'arido allarmismo che non aiuta nessuno. I lupi che hanno cercato di bussare alle porte del Parco Regionale della Murgia Materana hanno avuto il benservito da ignoti residenti (e forse neanche cacciatori) che, armati di fucile, hanno pensato di non dare loro possibilità di sopravvivenza neanche all'interno di un' area protetta. E la stessa cosa avviene ogni anno in altri parchi lucani e d'Italia. Per il mantenimento degli equilibri e per la conservazione della Biodiversità anche i lupi devono comunque sopravvivere e gli allevatori devono imparare a convivere, come fanno in altre aree, utilizzando ogni accorgimento utile e precauzione adatta, certamente non da soli ma con l'aiuto delle istituzioni e del mondo scientifico.
Rassegna stampa locale:
TRM TV del 14 dicembre 2011
Il Quotidiano di Basilicata del 14 dicembre 2011
TRM TV del 13 dicembre 2011
Il Quotidiano di Basilicata del 13 dicembre 2011
TRM TV del 10 dicembre 2011
martedì 13 dicembre 2011
lunedì 12 dicembre 2011
Basilicata: terra di pale eoliche
di Pio Abiusi - Associazione Città Plurale
Il Piear varato in periodo pre-elettorale ha previsto una capacità eolica installabile pari a ben 1360 MW complessivi malgrado l’ANEV, associazione che raccoglie le imprese del settore, e quindi in palese conflitto di interessi, individuasse una capacità per la Basilicata di 760 MW. Il Position Paper, il parere ufficiale dello Stato Italiano, ne prevede una quantità per la Basilicata pari a 469 MW.
Il PIEAR della Basilicata ha fatto riferimento al Position Paper ufficiale ma poi, rotta l’addizionatrice, il risultato è stato che la capacità eolica installabile è risultata di 1360 MW ai quali vanno sommati gli impianti da 1MW-definiti mini- che sono fuori piano, oltre 180 MW promossi dalla SEL (Società Energetica Lucana) su proprietà pubbliche.
Al momento da stime effettuate risultano installate 204 torri eoliche per 198 MW, mancano da istallare ancora 1150 MW, circa; la previsione ci porta ad almeno altre mille pale e la maggior parte delle quali da 130 metri di altezza.
Son tutti valori stimati perché la situazione, al momento, è completamente sfuggita di mano.
La LIPU-BirdLife dichiarava tempo addietro che“senza linee guida regionali in materia di impianti energetici si rischia di compromettere territori di pregio naturalistico e paesaggistico”.Il Presidente dell’Ordine degli Architetti della Provincia di Potenza Michele Graziadei nel chiedere perdono ai giovani affermava che avendo ereditato un territorio incontaminato si è stati rispettosi fino a quando non vi è stata una rottura del fronte e si è arrivati, semmai, a vendere anche il Castello di Lagopesole purchè a buon prezzo. Il territorio è stato aggredito e devastato e l’opera non è ancora completata. Una riflessione a parte merita l’intervento del presidente dell'Abi, Giuseppe Mussari, che alla conferenza tenutasi nel Gennaio di questo anno 'L'energia per il lavoro sostenibile - La terza rivoluzione industriale' ha dichiarato che il settore delle energie rinnovabili e' a rischio di "bolla speculativa" poiché' e' sostanzialmente basato sulle sovvenzioni pubbliche che potrebbero venire meno e che sarebbe stato più utile investire sulla ricerca per il pannello efficiente e sul risparmio energetico. Concetto ripreso da molti, il nostro Paese non è particolarmente vocato per la produzione di energia eolica. La corsa a chiedere autorizzazioni per impiantare pale alte oltre un centinaio di metri è in realtà una corsa agli incentivi e alle agevolazioni che fa ricchi pochi a discapito della collettività. Alla buon ora la Regione Basilicata di concerto con i Ministeri per i Beni e le Attività Culturali e per l’Ambiente e la Tutela del Territorio e del Mare realizzeranno un Piano di tutela e valorizzazione dei caratteri paesaggistici, storici, culturali e naturalistico ambientali esteso all’intero territorio regionale. Ci auguriamo che non sia troppo tardi e che si riesca a dare certezze senza che il territorio sia definitivamente devastato inutilmente ed a danno delle generazioni future sulle cui spalle graveranno , avendo le risorse, gli oneri del ripristino di tante pale nel deserto.
Matera, 3 Dicembre 2011
Il Piear varato in periodo pre-elettorale ha previsto una capacità eolica installabile pari a ben 1360 MW complessivi malgrado l’ANEV, associazione che raccoglie le imprese del settore, e quindi in palese conflitto di interessi, individuasse una capacità per la Basilicata di 760 MW. Il Position Paper, il parere ufficiale dello Stato Italiano, ne prevede una quantità per la Basilicata pari a 469 MW.
Il PIEAR della Basilicata ha fatto riferimento al Position Paper ufficiale ma poi, rotta l’addizionatrice, il risultato è stato che la capacità eolica installabile è risultata di 1360 MW ai quali vanno sommati gli impianti da 1MW-definiti mini- che sono fuori piano, oltre 180 MW promossi dalla SEL (Società Energetica Lucana) su proprietà pubbliche.
Al momento da stime effettuate risultano installate 204 torri eoliche per 198 MW, mancano da istallare ancora 1150 MW, circa; la previsione ci porta ad almeno altre mille pale e la maggior parte delle quali da 130 metri di altezza.
Son tutti valori stimati perché la situazione, al momento, è completamente sfuggita di mano.
La LIPU-BirdLife dichiarava tempo addietro che“senza linee guida regionali in materia di impianti energetici si rischia di compromettere territori di pregio naturalistico e paesaggistico”.Il Presidente dell’Ordine degli Architetti della Provincia di Potenza Michele Graziadei nel chiedere perdono ai giovani affermava che avendo ereditato un territorio incontaminato si è stati rispettosi fino a quando non vi è stata una rottura del fronte e si è arrivati, semmai, a vendere anche il Castello di Lagopesole purchè a buon prezzo. Il territorio è stato aggredito e devastato e l’opera non è ancora completata. Una riflessione a parte merita l’intervento del presidente dell'Abi, Giuseppe Mussari, che alla conferenza tenutasi nel Gennaio di questo anno 'L'energia per il lavoro sostenibile - La terza rivoluzione industriale' ha dichiarato che il settore delle energie rinnovabili e' a rischio di "bolla speculativa" poiché' e' sostanzialmente basato sulle sovvenzioni pubbliche che potrebbero venire meno e che sarebbe stato più utile investire sulla ricerca per il pannello efficiente e sul risparmio energetico. Concetto ripreso da molti, il nostro Paese non è particolarmente vocato per la produzione di energia eolica. La corsa a chiedere autorizzazioni per impiantare pale alte oltre un centinaio di metri è in realtà una corsa agli incentivi e alle agevolazioni che fa ricchi pochi a discapito della collettività. Alla buon ora la Regione Basilicata di concerto con i Ministeri per i Beni e le Attività Culturali e per l’Ambiente e la Tutela del Territorio e del Mare realizzeranno un Piano di tutela e valorizzazione dei caratteri paesaggistici, storici, culturali e naturalistico ambientali esteso all’intero territorio regionale. Ci auguriamo che non sia troppo tardi e che si riesca a dare certezze senza che il territorio sia definitivamente devastato inutilmente ed a danno delle generazioni future sulle cui spalle graveranno , avendo le risorse, gli oneri del ripristino di tante pale nel deserto.
Matera, 3 Dicembre 2011
mercoledì 7 dicembre 2011
Ritrovata una Lontra morta sulla SS 106 Jonica
Dopo alcune recentissime e positive notizie di avvistamenti di Lontra lungo il fiume Bradano purtroppo si deve segnalare un nuovo caso di mortalità che riguarda questo mammifero così raro ed interessante.
Nel pomeriggio del 07 dicembre, su segnalazione di un automobilista, il CRAS Provinciale di San Giuliano (Mt) è intervenuto per il recupero di una carcassa di Lontra lungo la Statale 106 Jonica nei pressi di Metaponto.
Sul posto si sono recati il Responsabile del Centro Recupero Matteo Visceglia accompagnato dal veterinario del Parco di Gallipoli Cognato Egidio Mallia e dal volontario Rocco Silvaggi constatando purtroppo il pessimo stato di conservazione della carcassa poiché schiacciata in più parti e in evidente stato di decomposizione da 6-7 gg. Il peso dell'animale rilevato al momento del recupero è di 4 kg.
L'esemplare è sicuramente morto a seguito di impatto con veicolo in un tratto di strada molto pericoloso e ad alta densità di traffico. Il fiume più vicino al sito di ritrovamento è il Basento, distante 660 mt mentre la linea di costa è a 4,3 km.
Va evidenziato come l'area intorno al sito di ritrovamento è occupata da estese coltivazioni intensive e fabbricati rurali sparsi ad eccezione di una sottile fascia di vegetazione igrofila fluviale.
La carcassa sarà consegnata, come prevede il Piano Nazionale di Azione sulla Lontra, all'Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Puglia e Basilicata.
Con questa segnalazione purtroppo si conferma la drammatica situazione di pericolosità di molte strade in Basilicata per la sopravvivenza della Lontra. Il susseguirsi di segnalazioni e ritrovamenti induce quindi a pensare che il territorio lucano ospiti ancora importanti nuclei della specie ma fattori antropici e infrastrutture viarie ne stanno mettendo a rischio la sua stessa sopravvivenza. Si spera che le azioni e gli indirizzi contenuti nel Piano Nazionale di Azione redatto dall'ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca Ambientale) e pubblicato dal Ministero dell'Ambiente possano favorire una più adeguata tutela e conservazione per il futuro.
Per ora dunque resta importante la raccolta di dati di presenza di esemplari vivi o morti e per questo ci appelliamo alle istituzioni preposte, e alla Regione Basilicata in primis ma anche alle province, affinchè favoriscano interventi finalizzati alla creazione e al miglioramento di un coordinamento di esperti ed appassionati a livello locale che consenta una più incisiva azione di ricerca, monitoraggio e valutazione dei dati acquisiti, nonché una più adeguata strategia di recupero, conservazione e studio delle carcasse eventualmente rinvenute e segnalate da cittadini e forze dell'ordine.
Fase del recupero della carcassa di Lontra
Il cerchio rosso indica il punto di ritrovamento della lontra
Nel pomeriggio del 07 dicembre, su segnalazione di un automobilista, il CRAS Provinciale di San Giuliano (Mt) è intervenuto per il recupero di una carcassa di Lontra lungo la Statale 106 Jonica nei pressi di Metaponto.
Sul posto si sono recati il Responsabile del Centro Recupero Matteo Visceglia accompagnato dal veterinario del Parco di Gallipoli Cognato Egidio Mallia e dal volontario Rocco Silvaggi constatando purtroppo il pessimo stato di conservazione della carcassa poiché schiacciata in più parti e in evidente stato di decomposizione da 6-7 gg. Il peso dell'animale rilevato al momento del recupero è di 4 kg.
L'esemplare è sicuramente morto a seguito di impatto con veicolo in un tratto di strada molto pericoloso e ad alta densità di traffico. Il fiume più vicino al sito di ritrovamento è il Basento, distante 660 mt mentre la linea di costa è a 4,3 km.
Va evidenziato come l'area intorno al sito di ritrovamento è occupata da estese coltivazioni intensive e fabbricati rurali sparsi ad eccezione di una sottile fascia di vegetazione igrofila fluviale.
La carcassa sarà consegnata, come prevede il Piano Nazionale di Azione sulla Lontra, all'Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Puglia e Basilicata.
Con questa segnalazione purtroppo si conferma la drammatica situazione di pericolosità di molte strade in Basilicata per la sopravvivenza della Lontra. Il susseguirsi di segnalazioni e ritrovamenti induce quindi a pensare che il territorio lucano ospiti ancora importanti nuclei della specie ma fattori antropici e infrastrutture viarie ne stanno mettendo a rischio la sua stessa sopravvivenza. Si spera che le azioni e gli indirizzi contenuti nel Piano Nazionale di Azione redatto dall'ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca Ambientale) e pubblicato dal Ministero dell'Ambiente possano favorire una più adeguata tutela e conservazione per il futuro.
Per ora dunque resta importante la raccolta di dati di presenza di esemplari vivi o morti e per questo ci appelliamo alle istituzioni preposte, e alla Regione Basilicata in primis ma anche alle province, affinchè favoriscano interventi finalizzati alla creazione e al miglioramento di un coordinamento di esperti ed appassionati a livello locale che consenta una più incisiva azione di ricerca, monitoraggio e valutazione dei dati acquisiti, nonché una più adeguata strategia di recupero, conservazione e studio delle carcasse eventualmente rinvenute e segnalate da cittadini e forze dell'ordine.
Fase del recupero della carcassa di Lontra
Il cerchio rosso indica il punto di ritrovamento della lontra
martedì 6 dicembre 2011
lunedì 5 dicembre 2011
Documento filmato sulla Lontra in Basilicata
Grazie alla disponibilità dell associazione ASNAB pubblichiamo qui sotto un interessante video che documenta la presenza della Lontra lungo l'alto Bradano. Gli autori del video Luciano Giacomino e Donato Franculli hanno posizionato una fototrappola nei pressi del greto del fiume lungo uno dei percorsi abituali del raro mustelide e il giorno 21 novembre hanno finalmente avuto la fortuna di "catturare" questa breve ma pur rara e interessante immagine di una lontra che si muove in pieno giorno.
domenica 4 dicembre 2011
SOS Riccio
Questo giovane riccio, del peso di 200 g nato nella scorsa estate o
autunno, è stato consegnato il 04 dicembre al CRAS di San Giuliano da
operatori del CEA di Matera a cui si era rivolto un cittadino che aveva
rinvenuto il piccolo mammifero, inerme e poco reattivo, lungo una
strada. Purtroppo la debilitazione e il peso riscontrato non permettono
un normale superamento della stagione fredda ormai alle porte; pertanto
il riccio dovrà rimanere ospite del CRAS nella speranza che possa
superare lo stato di debilitazione, svilupparsi ed accrescere il suo
peso fino ad almeno 500-600 grammi, in modo da renderlo forte ed
indipendente la prossima estate. E' pertanto necessario sin da ora
fargli trascorrere i prossimi mesi invernali in un luogo caldo e sicuro,
fornendo ogni giorno alimentazione adeguata ed acqua.
Ricordiamo che il Centro Recupero ha bisogno di aiuto da parte di tutti coloro che amano la natura e gli animali. Ogni contributo e donazione è un sostegno in più per una migliore cura dei tanti esemplari ospitati al Centro.
Coloro che contribuiranno a sostenere il CRAS saranno ringraziati pubblicamente e saranno invitati alle liberazioni degli animali curati e riabilitati.
TABELLA DI CRESCITA
Il 04 dicembre 2011 (giorno di arrivo) pesava 198 grammi
24 dicembre 2011 peso 371 grammi ==> 87% di incremento di peso
08 gennaio 2012 peso 526 grammi ==> 165% di incremento di peso
Ricordiamo che il Centro Recupero ha bisogno di aiuto da parte di tutti coloro che amano la natura e gli animali. Ogni contributo e donazione è un sostegno in più per una migliore cura dei tanti esemplari ospitati al Centro.
Coloro che contribuiranno a sostenere il CRAS saranno ringraziati pubblicamente e saranno invitati alle liberazioni degli animali curati e riabilitati.
TABELLA DI CRESCITA
Il 04 dicembre 2011 (giorno di arrivo) pesava 198 grammi
24 dicembre 2011 peso 371 grammi ==> 87% di incremento di peso
08 gennaio 2012 peso 526 grammi ==> 165% di incremento di peso
mercoledì 30 novembre 2011
Ucciso un esemplare protetto. Pelle di Tasso a Miglionico
MIGLIONICO - Non è ricetta ancora discretamente diffusa, come nel caso della volpe, ma si annovera purtroppo tra i piatti caserecci, dal nord al sud della Penisola. Sicilia e Sardegna escluse, ma solo perchè non è presente. Nonostante il grado di protezione riservato dalla legge, il Tasso rientra ancora nei piatti di tradizione dell’Italia mangia tutto.
E guai a criticare, perchè questi sono i piatti di tradizione, come la vietatissima polenta ed osei, se preparata (così come comunemente avviene) con uccelletti di cattura. L’unica precauzione (a parte evitare di farsi cogliere in flagranza dalla Forestale) è asportare le ghiandole. La carne, infatti, diventerebbe immangiabile. Questa fine, ovvero in pentola, ha fatto verosimilmente il povero Tasso di Miglionico, la cui pelle è stata trovata ieri in un sentiero di campagna. Tutti il resto è stato portato via, componente di ricette caserecce che di tanto in tanto appaiono nei forum di caccia. Da Piacenza a Brescia, passando per Bordighera e Laveno. Non solo nord Italia, comunque. Lo dimostra lo stesso Tasso trovato ieri. Probabilmente è stato cacciato di notte, oppure snidato con l’au - silio dei cani. Di sicuro ha fattounabrutta fine. Forum di caccia e non solo. Per chi ha buona memoria, basti ricordare chenonmolti anni addietro suscitò scalporeunasito scout (italiano, non cinese…) dove apparvero ricette su come cucinare non solo i Tassi, ma anche i Ricci (da gettare vivi nella brace e trafiggere nel cuore), Puzzole, Faine, le onnipresenti Volpi e finanche cani. Nella pubblicazione veniva mostrato come trappolarli, ma questo avviene tutt’ora in alcuni siti di caccia, ovviamente per rispetto della cultura venatoria. Non per utilizzarle.
dal Quotidiano della Basilicata del 30/11/2011
E guai a criticare, perchè questi sono i piatti di tradizione, come la vietatissima polenta ed osei, se preparata (così come comunemente avviene) con uccelletti di cattura. L’unica precauzione (a parte evitare di farsi cogliere in flagranza dalla Forestale) è asportare le ghiandole. La carne, infatti, diventerebbe immangiabile. Questa fine, ovvero in pentola, ha fatto verosimilmente il povero Tasso di Miglionico, la cui pelle è stata trovata ieri in un sentiero di campagna. Tutti il resto è stato portato via, componente di ricette caserecce che di tanto in tanto appaiono nei forum di caccia. Da Piacenza a Brescia, passando per Bordighera e Laveno. Non solo nord Italia, comunque. Lo dimostra lo stesso Tasso trovato ieri. Probabilmente è stato cacciato di notte, oppure snidato con l’au - silio dei cani. Di sicuro ha fattounabrutta fine. Forum di caccia e non solo. Per chi ha buona memoria, basti ricordare chenonmolti anni addietro suscitò scalporeunasito scout (italiano, non cinese…) dove apparvero ricette su come cucinare non solo i Tassi, ma anche i Ricci (da gettare vivi nella brace e trafiggere nel cuore), Puzzole, Faine, le onnipresenti Volpi e finanche cani. Nella pubblicazione veniva mostrato come trappolarli, ma questo avviene tutt’ora in alcuni siti di caccia, ovviamente per rispetto della cultura venatoria. Non per utilizzarle.
dal Quotidiano della Basilicata del 30/11/2011
lunedì 14 novembre 2011
Aironi guardabuoi a caccia nei campi arati
domenica 13 novembre 2011
giovedì 10 novembre 2011
Dalla Basilicata al Sahel: le aquile che migrano “al contrario”
Ugo Mellone, Università di Alicante
Avendo un paio d'ali, e dovendo raggiungere l'Africa dall'Italia, in che direzione volereste? La logica direbbe Sud, ma in natura le cose non sempre vanno secondo la nostra logica. A partire dal 2010, nel Parco Gallipoli Cognato Piccole Dolomiti Lucane, è iniziato un progetto di studio della migrazione del Biancone (Circaetus gallicus), finanziato dall'Osservatorio Faunistico della Regione Basilicata e dall'Estación Biológica Terra Natura (Università di Alicante, Spagna). Ad oggi sono stati marcati con trasmittenti GPS/Argos, per la prima volta in Italia, cinque giovani esemplari.
Il Biancone è un'aquila che nidifica in boschi mediterranei, si nutre quasi esclusivamente di serpenti, e trascorre l'inverno prevalentemente in Africa tropicale. Il sistema GPS consente di localizzare i Bianconi con precisione e quindi di valutare le rotte di migrazione e le aree di svernamento.
Le trasmittenti, dal peso di 45 g (meno del 3% del peso delle aquile) funzionano tramite telemetria satellitare, una tecnica attraverso la quale è possibile seguire le migrazioni degli uccelli attraverso piccole radio alimentate da pannelli solari. Questi strumenti, che sono stati applicati tramite un leggerissimo "zainetto" pochi giorni prima che le giovani aquile si involassero dal nido, inviano dei dati (coordinate, ora e data) che sono poi scaricabili da internet.
I risultati del primo anno della ricerca sono stati appena pubblicati sulla prestigiosa rivista Journal of Avian Biology ("Extremely detoured migration in an inexperienced bird: interplay of transport costs and social interactions") e dimostrano come queste aquile, invece di raggiungere l'Africa volando dirette verso Sud, si dirigono veso Nord e poi attraverso la Francia raggiungono la Spagna e lo Stretto di Gibilterra, dove attraversano il Mediterraneo (guarda il 'viaggio' nella in photogallery). Successivamente, dopo alcuni giorni di viaggio sul Sahara, raggiungono le savane del Sahel dove trascorrono l'inverno.
Perchè questo percorso così tortuoso? La risposta è negli altissimi costi energetici e rischi associati all'attraversamento del mare, dove i Bianconi sono obbligati al dispendioso volo battuto. Raggiungere l'Africa dalla Sicilia implicherebbe almeno 140 km di volo sul mare, mentre da Gibilterra sono soltanto 14. E come fanno degli animali con pochi mesi di vita, e senza nessuna esperienza dimigrazione, a seguire un percorso tanto complesso? I ricercatori hanno ipotizzato che i giovani Bianconi apprendano il percorso seguendo individui adulti.
Queste ipotesi erano già state formulate sulla base di osservazioni di gruppi misti (adulti e giovani) in migrazione verso Nord in Italia centrale, ma è la prima volta che arriva la conferma tramite la tecnologia GPS.
Attualmente è possibile seguire quasi in tempo reale sul sito del Parco www.parcogallipolicognato.it la migrazione di tre individui, Federico, Pilar e Crocco, e le sorprese e i colpi di scena non stanno mancando: non tutti i giovani, infatti sembrano essere in grado di apprendere la migrazione "sicura" dagli adulti.
[nell'immagine sotto tragitti reali (in rosso, dalla Spagna) e ipotetici (in nero, dalla Sicilia) utilizzati da due giovani Bianconi per raggiungere l'Africa (Mellone et al. 2011, Journal of Avian Biology 42: 468-472)]
Fonte: greenreport.it
Avendo un paio d'ali, e dovendo raggiungere l'Africa dall'Italia, in che direzione volereste? La logica direbbe Sud, ma in natura le cose non sempre vanno secondo la nostra logica. A partire dal 2010, nel Parco Gallipoli Cognato Piccole Dolomiti Lucane, è iniziato un progetto di studio della migrazione del Biancone (Circaetus gallicus), finanziato dall'Osservatorio Faunistico della Regione Basilicata e dall'Estación Biológica Terra Natura (Università di Alicante, Spagna). Ad oggi sono stati marcati con trasmittenti GPS/Argos, per la prima volta in Italia, cinque giovani esemplari.
Il Biancone è un'aquila che nidifica in boschi mediterranei, si nutre quasi esclusivamente di serpenti, e trascorre l'inverno prevalentemente in Africa tropicale. Il sistema GPS consente di localizzare i Bianconi con precisione e quindi di valutare le rotte di migrazione e le aree di svernamento.
Le trasmittenti, dal peso di 45 g (meno del 3% del peso delle aquile) funzionano tramite telemetria satellitare, una tecnica attraverso la quale è possibile seguire le migrazioni degli uccelli attraverso piccole radio alimentate da pannelli solari. Questi strumenti, che sono stati applicati tramite un leggerissimo "zainetto" pochi giorni prima che le giovani aquile si involassero dal nido, inviano dei dati (coordinate, ora e data) che sono poi scaricabili da internet.
I risultati del primo anno della ricerca sono stati appena pubblicati sulla prestigiosa rivista Journal of Avian Biology ("Extremely detoured migration in an inexperienced bird: interplay of transport costs and social interactions") e dimostrano come queste aquile, invece di raggiungere l'Africa volando dirette verso Sud, si dirigono veso Nord e poi attraverso la Francia raggiungono la Spagna e lo Stretto di Gibilterra, dove attraversano il Mediterraneo (guarda il 'viaggio' nella in photogallery). Successivamente, dopo alcuni giorni di viaggio sul Sahara, raggiungono le savane del Sahel dove trascorrono l'inverno.
Perchè questo percorso così tortuoso? La risposta è negli altissimi costi energetici e rischi associati all'attraversamento del mare, dove i Bianconi sono obbligati al dispendioso volo battuto. Raggiungere l'Africa dalla Sicilia implicherebbe almeno 140 km di volo sul mare, mentre da Gibilterra sono soltanto 14. E come fanno degli animali con pochi mesi di vita, e senza nessuna esperienza dimigrazione, a seguire un percorso tanto complesso? I ricercatori hanno ipotizzato che i giovani Bianconi apprendano il percorso seguendo individui adulti.
Queste ipotesi erano già state formulate sulla base di osservazioni di gruppi misti (adulti e giovani) in migrazione verso Nord in Italia centrale, ma è la prima volta che arriva la conferma tramite la tecnologia GPS.
Attualmente è possibile seguire quasi in tempo reale sul sito del Parco www.parcogallipolicognato.it la migrazione di tre individui, Federico, Pilar e Crocco, e le sorprese e i colpi di scena non stanno mancando: non tutti i giovani, infatti sembrano essere in grado di apprendere la migrazione "sicura" dagli adulti.
[nell'immagine sotto tragitti reali (in rosso, dalla Spagna) e ipotetici (in nero, dalla Sicilia) utilizzati da due giovani Bianconi per raggiungere l'Africa (Mellone et al. 2011, Journal of Avian Biology 42: 468-472)]
Fonte: greenreport.it
mercoledì 9 novembre 2011
Cicogna bianca, scatti in libertà
Una Cicogna bianca è stata liberata il 5 novembre 2011 nella Riserva Naturale di San Giuliano (Matera) dopo due mesi e mezzo di cure presso il Centro Recupero Animali Selvatici della stessa area protetta. Prima di allontanarsi dopo il rilascio ci ha regalato alcuni scatti in libertà.
martedì 8 novembre 2011
sabato 5 novembre 2011
giovedì 3 novembre 2011
Fossile di Balena: ripresi i lavori per il recupero del cranio
Il Consigliere Comunale del Partito Socialista di Matera Michele Lamacchia ha presentato un Ordine del Giorno da discutere in Consiglio per riportare l’attenzione su un ritrovamento avvenuto nell’agosto 2006, sulla sponda del lago San Giuliano di resti fossili di un grande cetaceo. Una balena lunga circa ventisette metri risalente al Pleistocene, cioè un milione di anni fa, che si è conservata integra fossilizzandosi nell’argilla. Un esemplare unico al Mondo per la completezza e per le dimensioni. Una scoperta sensazionale che sembra caduta nel dimenticatoio. Tra mille difficoltà economiche la soprintendenza ha provveduto al recupero del corpo e solo questi giorni stanno cominciando le operazioni di recupero della scatola cranica completamente immersa nell’argilla. Nell’Ordine del Giorno, il Consigliere Lamacchia pone l’attenzione sull’importanza che tale ritrovamento può avere in termini di ricadute culturali e turistiche nel Territorio e lancia un grido di allarme sulla eventualità di un probabile trasferimento del fossile in altra sede del Nord Italia. Si perpetrerebbe in questo modo un vero e proprio scippo alla Città di Matera e al Territorio Lucano.Non di poco conto, afferma Lamacchia, sarebbe la ricaduta sulla candidatura della Città di Matera a Capitale della Cultura 2019.L’ordine del Giorno ha la finalità di dare indirizzo al Sindaco e alla intera Giunta di mettere in atto tutti i provvedimenti e le iniziative utili a scongiurare un probabile trasferimento e di individuare nel contempo un sito idoneo ad ospitare un reperto unico al Mondo.E’ auspicabile inoltre che tutte le forze culturali regionali, i giovani, e tutti coloro che hanno a cuore il nostro territorio, prendano coscienza dell’importanza che riveste questo ritrovamento opponendosi ad eventuali trasferimenti che ci priverebbero di una opportunità unica.
Fonte:
Foto:Antonio Ferrante
Fonte:
Foto:Antonio Ferrante
Nuova osservazione di 2 grifoni in Basilicata
Nel corso di un monitoraggio faunistico condotto dall'ornitologo lucano Egidio Fulco questa mattina 3 novembre 2011 sono stati osservati 2 splendidi grifoni (Gyps fulvus) in alcune aree della Valle dell'Agri lungo l'Appennino Lucano. Data la notevole distanza non è stato possibile notare la presenza di eventuali anelli colorati. Si ricorda che la precedente osservazione della specie in Basilicata (A. Vilmer Sabino & M. Visceglia, 2011) è stata effettuata sulla Murgia materana la scorsa primavera e riguardava un soggetto inanellato (codice G71) proveniente dal Parco Nazionale del Pollino a seguito di rilasci a scopo di ripopolamento.
Un giovane nibbio reale con marche alari avvistato in Basilicata
Un Nibbio reale (Milvus milvus) con marche alari blu è stato osservato dall'ornitologo lucano Egidio Fulco il giorno 03 novembre 2011 in Basilicata nel territorio del comune di Marsicovetere (Pz) a circa 1000 metri di quota. A seguito di contatti con i responsabili di un progetto che si occupa della reintroduzione di questa specie in alcune aree dell'Italia centrale è emerso che questo nibbio (con codice IJJ) è un giovane liberato l'anno scorso nelle Marche nel Parco Regionale Gola della Rossa e di Frasassi nell'ambito del Progetto LIFE Natura "Save the Flyers". Questa importante osservazione conferma che tra le varie metapopolazioni di nibbio reale vi è un effettivo collegamento che potrebbe contribuire a consolidare la speranza di una ripresa della specie soprattutto in aree ove un tempo erano più comuni come la Toscana, il Lazio, l'Abruzzo, le Marche e il Molise. La popolazione nidificante lucana, la più importante d'Italia, rappresenta allo stesso tempo sia un grande serbatoio di esemplari che possono occupare nuove aree anche distanti diverse centinaia di km sia un forte richiamo per altri nibbi erratici proprio come IJJ avvistato nelle aree interne della regione. Ci hanno informato i responsabili del LIFE che precentemente questo giovane era stato visto sia in Toscana che nel Lazio, a dimostrazione di un comportamento di erratismo molto importante per la ricerca di nuovi territori da parte di giovani.
CONCLUSA CON SUCCESSO LA CAMPAGNA DI INANELLAMENTO ALLA FOCE DEL BRADANO
Potenza, 03 Novembre 2011 – Corpo Forestale dello Stato in collaborazione con l’ISPRA ha inanellato circa 1400 individui appartenenti a 31 specie diverse di avifauna migratoria.
Dal 30 Settembre al 31 Ottobre 2011 si è svolta una campagna di inanellamento scientifico nella Riserva Forestale di Protezione di Metaponto presso la Foce del Bradano, Sito di Importanza Comunitaria, dove è stata attivata una Stazione di inanellamento della rete ISPRA. La ricerca, svolta per il secondo anno consecutivo in collaborazione tra lo Studio Naturalistico Milvus e il CORPO FORESTALE DELLO STATO - Ufficio Territoriale della Biodiversità di Potenza, ha avuto come obiettivo quello di studiare la migrazione autunnale dei migratori intrapaleartici attraverso la costa jonica lucana. L’attività ha visto l’impegno di ornitologi professionisti in possesso del patentino ISPRA e dunque abilitati all’attività di inanellamento scientifico.
Il Dott. Egidio Fulco, ornitologo responsabile della stazione di inanellamento, ha dichiarato: “La ricerca ha prodotto interessanti risultati scientifici con 1.385 individui inanellati appartenenti a 31 specie diverse. Molto interessante la ricattura di un Luì piccolo, Phylloscopus collybita , un piccolo passeriforme migratore, risultato già inanellato in Repubblica Ceka. Tale dato conferma l’origine est-europea delle popolazioni migratrici che transitano alle nostre latitudini, oltre ad evidenziare l’importanza della costa jonica lucana quale via preferenziale per le migrazioni verso i quartieri di svernamento Nord-Africani”.
Parole di entusiasmo sono state espresse dal Vice Questore Aggiunto Dott.ssa Angela Malaspina, responsabile dell’UTB che ha finanziato la ricerca: “L’iniziativa, oltre al notevole significato scientifico e alle possibilità applicative degli elementi conoscitivi ai fini della gestione dell’area, ha consentito di espletare una consistente attività di educazione ambientale, mediante il coinvolgimento di numerose scolaresche che, in piccoli gruppi, hanno avuto modo di partecipare ad una esperienza didattica di grande interesse. Ciò ha ulteriormente confermato l’importante ruolo educativo e di sensibilizzazione svolto da attività di questo genere, soprattutto se condotte all’interno di aree protette come è quella di Metaponto. Inoltre, l’iniziativa ha richiamato anche numerosi volontari esperti del settore e provenienti anche da fuori regione che hanno affiancato il Dott. Fulco nelle operazioni di inanellamento. Si tratta di studenti, addetti ai lavori e appassionati che hanno potuto utilizzare il tempo trascorso in loco come un’importante occasione formativa e di interesse scientifico. Si auspica in futuro di potere proseguire con la ricerca, al fine di ottenere indicazioni gestionali sempre più precise e di valorizzare ulteriormente il ruolo formativo della stazione di inanellamento Foce Bradano. Attività di questo genere confermano la grande valenza ambientale della costa jonica metapontina, protetta dal vincolo di Riserva dello Stato, ma sempre più soggetta a fattori di alterazione e degrado, spesso giustificato da un malinteso sviluppo turistico fortemente impattante con i delicati equilibri del territorio”.
Martin pescatore
Luì piccolo con anello ceko
Dal 30 Settembre al 31 Ottobre 2011 si è svolta una campagna di inanellamento scientifico nella Riserva Forestale di Protezione di Metaponto presso la Foce del Bradano, Sito di Importanza Comunitaria, dove è stata attivata una Stazione di inanellamento della rete ISPRA. La ricerca, svolta per il secondo anno consecutivo in collaborazione tra lo Studio Naturalistico Milvus e il CORPO FORESTALE DELLO STATO - Ufficio Territoriale della Biodiversità di Potenza, ha avuto come obiettivo quello di studiare la migrazione autunnale dei migratori intrapaleartici attraverso la costa jonica lucana. L’attività ha visto l’impegno di ornitologi professionisti in possesso del patentino ISPRA e dunque abilitati all’attività di inanellamento scientifico.
Il Dott. Egidio Fulco, ornitologo responsabile della stazione di inanellamento, ha dichiarato: “La ricerca ha prodotto interessanti risultati scientifici con 1.385 individui inanellati appartenenti a 31 specie diverse. Molto interessante la ricattura di un Luì piccolo, Phylloscopus collybita , un piccolo passeriforme migratore, risultato già inanellato in Repubblica Ceka. Tale dato conferma l’origine est-europea delle popolazioni migratrici che transitano alle nostre latitudini, oltre ad evidenziare l’importanza della costa jonica lucana quale via preferenziale per le migrazioni verso i quartieri di svernamento Nord-Africani”.
Parole di entusiasmo sono state espresse dal Vice Questore Aggiunto Dott.ssa Angela Malaspina, responsabile dell’UTB che ha finanziato la ricerca: “L’iniziativa, oltre al notevole significato scientifico e alle possibilità applicative degli elementi conoscitivi ai fini della gestione dell’area, ha consentito di espletare una consistente attività di educazione ambientale, mediante il coinvolgimento di numerose scolaresche che, in piccoli gruppi, hanno avuto modo di partecipare ad una esperienza didattica di grande interesse. Ciò ha ulteriormente confermato l’importante ruolo educativo e di sensibilizzazione svolto da attività di questo genere, soprattutto se condotte all’interno di aree protette come è quella di Metaponto. Inoltre, l’iniziativa ha richiamato anche numerosi volontari esperti del settore e provenienti anche da fuori regione che hanno affiancato il Dott. Fulco nelle operazioni di inanellamento. Si tratta di studenti, addetti ai lavori e appassionati che hanno potuto utilizzare il tempo trascorso in loco come un’importante occasione formativa e di interesse scientifico. Si auspica in futuro di potere proseguire con la ricerca, al fine di ottenere indicazioni gestionali sempre più precise e di valorizzare ulteriormente il ruolo formativo della stazione di inanellamento Foce Bradano. Attività di questo genere confermano la grande valenza ambientale della costa jonica metapontina, protetta dal vincolo di Riserva dello Stato, ma sempre più soggetta a fattori di alterazione e degrado, spesso giustificato da un malinteso sviluppo turistico fortemente impattante con i delicati equilibri del territorio”.
Martin pescatore
Luì piccolo con anello ceko
domenica 30 ottobre 2011
Un'occhiata dietro l'angolo...
Parco della Murgia e vicinanze
di Amelia Boccassi
Un viaggio affascinante, tra archeologia, arte e natura incontaminata è quello nel Parco regionale archeologico, storico, naturale delle chiese rupestri del materano, noto come Parco della Murgia. Ottomila ettari compresi tra i comuni di Matera e Montescaglioso, sono caratterizzati da profonde rupi, cascate, sentieri, fra rarità vegetative, anche antichissime, gravine e grotte naturali utilizzate dall’uomo sin dalla preistoria, e chiese rupestri.
Continua a leggere qui:
http://www.tuononews.it/tn/article/7DB102834487&Ref=EL
28/10/11
di Amelia Boccassi
Un viaggio affascinante, tra archeologia, arte e natura incontaminata è quello nel Parco regionale archeologico, storico, naturale delle chiese rupestri del materano, noto come Parco della Murgia. Ottomila ettari compresi tra i comuni di Matera e Montescaglioso, sono caratterizzati da profonde rupi, cascate, sentieri, fra rarità vegetative, anche antichissime, gravine e grotte naturali utilizzate dall’uomo sin dalla preistoria, e chiese rupestri.
Continua a leggere qui:
http://www.tuononews.it/tn/article/7DB102834487&Ref=EL
28/10/11
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venerdì 28 ottobre 2011
giovedì 27 ottobre 2011
sabato 22 ottobre 2011
Un Barbagianni impatta contro un treno a Matera
Un bellissimo Barbagianni è stato rinvenuto questa sera 22 ottobre al Rione Lanera presso la stazione delle Ferrovie Appulo Lucane di Matera a seguito di un forte impatto con un treno.
Prontamente soccorso dal personale della stazione è stato recapitato 2 ore dopo presso il Centro Recupero Rapaci della Riserva di San Giuliano. Ad un primo esame è stata purtroppo diagnosticata la frattura di entrambe le zampe ed un trauma cranico con riversamento di sangue nella cavità orale.
A livello generale la situazione sembra essere pertanto molto difficile, con scarsa reattività, abbattimento del sensorio ed evidenti danni neurosensoriali dovuti al trauma cranico.
Si spera che possa sopravvivere nei prossimi giorni al fine di poter essere eventualmente operato.
Secondo i dati del Centro Recupero i rapaci notturni piuttosto frequentemente restano vittime di collisioni con veicoli, cavi sospesi, vetrate e tutto ciò che costituisce ostacolo per loro.
Prontamente soccorso dal personale della stazione è stato recapitato 2 ore dopo presso il Centro Recupero Rapaci della Riserva di San Giuliano. Ad un primo esame è stata purtroppo diagnosticata la frattura di entrambe le zampe ed un trauma cranico con riversamento di sangue nella cavità orale.
A livello generale la situazione sembra essere pertanto molto difficile, con scarsa reattività, abbattimento del sensorio ed evidenti danni neurosensoriali dovuti al trauma cranico.
Si spera che possa sopravvivere nei prossimi giorni al fine di poter essere eventualmente operato.
Secondo i dati del Centro Recupero i rapaci notturni piuttosto frequentemente restano vittime di collisioni con veicoli, cavi sospesi, vetrate e tutto ciò che costituisce ostacolo per loro.
martedì 18 ottobre 2011
5 splendidi rapaci ritornano in libertà in provincia di Matera
Uno splendido esemplare di Falco di palude, rapace tipico delle aree umide delle pianure ed ormai sempre più raro in varie parti d'Italia, è stato liberato nei giorni scorsi dal Centro Recupero Rapaci della Riserva Naturale di San Giuliano. L'animale, consegnato la scorsa estate da cittadini di Altamura, era stato rinvenuto in difficoltà ai confini con Matera ed incapace di volare per una frattura al radio-ulna. Dopo un’ opportuna assistenza veterinaria da parte del dott. Vito Tralli e di un adeguato periodo di cura e riabilitazione al volo trascorso presso il Centro Rapaci di San Giuliano è finalmente ritornato in libertà nella splendida cornice della zona occidentale della Riserva, caratterizzata da un' ampia prateria umida e da un sito particolarmente tranquillo e idoneo ai rilasci di questi rapaci.
L'esemplare, un maschio di circa 1 anno e mezzo, è stato preventivamente inanellato prima della liberazione grazie alla collaborazione del dott. Egidio Mallia, inanellatore ufficiale del Centro.
Oltre al Falco di palude sono state liberate anche 2 civette e 2 gheppi che erano ospiti del Centro Recupero dalla scorsa estate per traumi di varia natura e rinvenuti nel materano grazie alla fattiva collaborazione di cittadini e forze dell’ordine. I gheppi – un giovane ed un adulto - sono stati rilasciati nei pressi del Parco della Murgia Materana mentre le civette, attesa l’ora del tramonto, sono state liberate nella valle del Bradano, in agro di Montescaglioso, nei pressi di vecchi ruderi e case coloniche abbandonate, tipico habitat di queste piccole signore della notte.
Il Responsabile del Centro Matteo Visceglia dichiara:
“E’ importante sottolineare che i nostri rilasci di rapaci, contrariamente a quanto pensano in molti, solo raramente avvengono in pubblico in quanto ritieniamo importante evitare ogni ulteriore disagio ad animali che hanno trascorso lunghi periodi di cure in voliera. Lo stress improvviso dovuto alla presenza di molte persone che, non senza schiamazzi, li osservano e fotografano da vicino può a volte compromettere la buona riuscita delle operazioni di rilascio e di corretto ambientamento in natura. Nonostante ciò il nostro Centro ogni tanto organizza eventi pubblici alla presenza di scolaresche o di turisti ed appassionati di natura cercando di limitare al massimo ogni disturbo. Il più delle volte tali eventi sono legati alla liberazione di falchi grillai, una delle specie più amate e conosciute dal popolo lucano”.
Il Centro di Recupero, nonostante le diverse difficoltà in cui si trova ad operare quotidianamente, con disagi di natura infrastrutturale ed economica, continua a garantire 7 giorni su 7 il suo supporto tecnico operativo agli uffici preposti alla tutela dell’Ambiente e della Fauna dell’Amministrazione Provinciale di Matera attraverso il proprio presidio permanente di tutela della Biodiversità localizzato nella Riserva di San Giuliano ed offrendo ogni anno a centinaia di animali di specie particolarmente protette nuove opportunità di reintegrazione in Natura”.
Va ricordato a tutti i cittadini quanto stabilito dalla norme contenute nel calendario venatorio regionale 2010-2011 della Regione Basilicata. L’art. 7 riporta quanto segue:
“Chiunque rinvenga fauna selvatica in difficoltà è tenuto a darne immediata comunicazione alla Provincia o al Comune nel cui territorio è avvenuto il rinvenimento ed eventualmente consegnarla ai medesimi che provvederanno alla cura della stessa presso i centri autorizzati.”
venerdì 14 ottobre 2011
Basilicata Isola Fenice
Rinvenuti dalla Forestale richiami vietati
sabato 8 ottobre 2011
venerdì 7 ottobre 2011
Riserva S.Giuliano, approvato Progetto extra Piano forestazione
Matera, 7 ottobre 2011 – La riqualificazione ambientale della Riserva naturale di S. Giuliano, dettagliata in un progetto speciale, è stata approvata dalla giunta provinciale, che costerà all’Ente di via Ridola oltre 53 mila euro.
“Si tratta di interventi extra Piano forestazione, che consentiranno di incrementare il numero delle giornate lavorative, – ha precisato l’assessore al ramo, Angelo Garbellano – destinati al miglioramento dell’habitat della Riserva. Nel corso degli anni, infatti, il continuo processo di interramento, riducendo considerevolmente la capacità di invaso della diga, ha comportato un aumento dei fenomeni di erosione del terreno. Tutti gli interventi idraulico/forestali pianificati sono finalizzati, pertanto, all’ampliamento delle superfici vegetali, in grado di intercettare le piogge e di ridurre l’energia cinetica delle specie autoctone che causano il fenomeno di erosione.
Nello specifico attueremo azioni di rimboschimento con specie autoctone dell’area, associati a lavori di bonifica delle superfici boscate.”
“L’intenzione della Provincia – ha concluso il presidente Stella – è quella di assolvere a un ruolo di effettiva tutela e valorizzazione dell’Oasi. Opera complessa che deve considerare gli aspetti ambientali tanto per una adeguata e opportuna salvaguardia degli equilibri naturalistici, quanto per il miglioramento della fruizione turistica che passa attraverso una riqualificazione dell’intera area.”
lunedì 26 settembre 2011
Il Falco grillaio in volo su Lavello
Pubblichiamo qui sotto un interessante articolo tratto dal Quotidiano della Basilicata del 25 settembre 2011 in cui si evidenzia la presenza del Falco grillaio nell'area di Lavello a dismostrazione di come la tutela e la conservazione delle colonie storiche contribuisce all'espansione della specie nelle altre aree della regione.
domenica 25 settembre 2011
Parco divertimenti nell'Oasi di San Giuliano?
Ormai non si contano le mille idee su come "utilizzare" la Riserva Naturale di San Giuliano!
Alcuni anni fa sono stati registrati numerosi casi di aeromodellismo praticati, con notevole disturbo all'avifauna presente, sui prati umidi della zona A della Riserva, quella cioè a maggior protezione secondo il Regolamento di Gestione della Provincia di Matera. Per fortuna, dopo tante denunce e segnalazioni, la cosa si è risolta positivamente per l'area.
Da un pò di tempo alcuni vorrebbero portare barche, canoe e vele e ogni tanto l'argomento torna (specie in concomitanza di appuntamenti elettorali) ma la partita per ora è chiusa. Ed ora che si fa nel frattempo? Ecco che scendono in campo ( o meglio in acqua) i modelli navali radiocomandati...!
Domenica 25 settembre, in un ampio tratto della riva sinistra del lago nei pressi dello sbarramento, per tutta la mattinata alcune persone, con l'auto prepotentemente in sosta sulla riva lacustre in area interdetta ai veicoli, hanno dato libero sfogo al proprio hobby di modellismo navale senza minimamente tener conto della tipologia dell'area protetta e dei divieti di arrecare ogni disturbo alla Natura e ai visitatori desiderosi di immergersi nella pace e nella tranquillità dell'area protetta. Nessuna vigilanza e nessun controllo per tutta la mattinata...eppure è una delle aree più frequentate e più soggette a disturbi quotidiani. Il rumore dei motori (a cui facevano eco diversi colpi di fucile nelle vicinanze) si sentiva a notevole distanza; su tutta la superficie del lago antistante il campo di gioco nessuna forma di vita alata si notava. La Natura e le sue espressioni più vivaci (anatre, cormorani, aironi, svassi, gabbiani, ecc.) era di colpo scomparsa! Anche i pochi turisti che si affacciavano al lago sono stati praticamente indotti ad andare via, a vivere ed ammirare altrove la Natura. Ma, visto che la foto non rende nè il rumore nè il disturbo, o se qualcuno vuole semplicemente avere un 'idea di cosa si può fare con questi modellini lanciati su uno specchio d'acqua ecco qui un link esplicativo: http://youtu.be/sY7aZw-swrg
Si spera che le autorità di controllo e le associazioni protezionistiche locali facciano ogni giorno opera di prevenzione e di sensibilizzazione al fine di non rendere carta straccia una buona legge di tutela per questa importante area naturalistica che la Regione Basilicata ha varato nel lontano anno 2000 con l'obiettivo di proteggerla di più e meglio!
Alcuni anni fa sono stati registrati numerosi casi di aeromodellismo praticati, con notevole disturbo all'avifauna presente, sui prati umidi della zona A della Riserva, quella cioè a maggior protezione secondo il Regolamento di Gestione della Provincia di Matera. Per fortuna, dopo tante denunce e segnalazioni, la cosa si è risolta positivamente per l'area.
Da un pò di tempo alcuni vorrebbero portare barche, canoe e vele e ogni tanto l'argomento torna (specie in concomitanza di appuntamenti elettorali) ma la partita per ora è chiusa. Ed ora che si fa nel frattempo? Ecco che scendono in campo ( o meglio in acqua) i modelli navali radiocomandati...!
Domenica 25 settembre, in un ampio tratto della riva sinistra del lago nei pressi dello sbarramento, per tutta la mattinata alcune persone, con l'auto prepotentemente in sosta sulla riva lacustre in area interdetta ai veicoli, hanno dato libero sfogo al proprio hobby di modellismo navale senza minimamente tener conto della tipologia dell'area protetta e dei divieti di arrecare ogni disturbo alla Natura e ai visitatori desiderosi di immergersi nella pace e nella tranquillità dell'area protetta. Nessuna vigilanza e nessun controllo per tutta la mattinata...eppure è una delle aree più frequentate e più soggette a disturbi quotidiani. Il rumore dei motori (a cui facevano eco diversi colpi di fucile nelle vicinanze) si sentiva a notevole distanza; su tutta la superficie del lago antistante il campo di gioco nessuna forma di vita alata si notava. La Natura e le sue espressioni più vivaci (anatre, cormorani, aironi, svassi, gabbiani, ecc.) era di colpo scomparsa! Anche i pochi turisti che si affacciavano al lago sono stati praticamente indotti ad andare via, a vivere ed ammirare altrove la Natura. Ma, visto che la foto non rende nè il rumore nè il disturbo, o se qualcuno vuole semplicemente avere un 'idea di cosa si può fare con questi modellini lanciati su uno specchio d'acqua ecco qui un link esplicativo: http://youtu.be/sY7aZw-swrg
Si spera che le autorità di controllo e le associazioni protezionistiche locali facciano ogni giorno opera di prevenzione e di sensibilizzazione al fine di non rendere carta straccia una buona legge di tutela per questa importante area naturalistica che la Regione Basilicata ha varato nel lontano anno 2000 con l'obiettivo di proteggerla di più e meglio!
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sabato 24 settembre 2011
Inquinamento Basento: un video che fa riflettere
In un tratto del Basento compreso tra i territori di Ferrandina e Pisticci si è verificato uno sversamento di sostanze chimiche di provenienza industriale che ha ucciso migliaia di pesci avvelenando il fiume. Le acque inquinate, tuttavia, continuano a dissetare greggi e mandrie e vengono utilizzate per irrigare i campi.
www.pisticci.com
www.pisticci.com
venerdì 23 settembre 2011
NO ALLA SVENDITA DEI PARCHI NAZIONALI
LA PROPOSTA DI MODIFICA DELLA LEGGE 394/91: UN GRAVE ATTACCO AI PARCHI ED ALLE AREE PROTETTE
NO ALLA SVENDITA DEI PARCHI NAZIONALI
E’ in corso al Senato, presso la Commissione Ambiente, la discussione del disegno di legge 8 N. 1820 per la modifica della legge quadro sulle aree protette (Legge 394/91).
La Legge 394/91 era stata voluta da menti illuminate (tra cui il "gruppo di lavoro del verde" di Italia Nostra e alcuni rappresentanti del WWF), che, con tanta ostinazione e coraggio, erano riuscite a farla approvare dal Parlamento, dopo un lungo e tortuoso percorso, durato ben 31 anni.
Il disegno di legge risulta peggiorativo, rispetto al testo attualmente in vigore, in diversi punti ma tra questi, vogliamo, in questo momento, metterne in evidenza uno particolarmente insidioso e pericoloso e cioè l'emendamento N.2.0.300, presentato dal sen.Orsi, relatore del ddl, lo stesso che aveva proposto mesi addietro una nuova legge sulla caccia particolarmente impattante.
Il “cacciasenatore” Orsi è ritornato all’attacco ancora più pesantemente, proponendo con il suo emendamento, di dare la facoltà ai titolari di concessioni idroelettriche, cave, impianti a biomasse, ricerche di idrocarburi, impianti eolici, fotovoltaici… di dare “elargizioni” agli Enti Parco, in cambio del “disturbo”. Basterà cioè pagare i parchi per poterne sfasciare il territorio, facendo leva sul fatto che l’attuale Governo non ha esitato a dimezzare i fondi concessi agli Enti parco, rendendo sempre più difficile la loro azione di tutela del territorio e di sviluppo sostenibile delle comunità locali.
Immaginabili quali e quante pressioni le lobby dell'energia, del cemento stiano facendo sui (loro amici) parlamentari, con l’ obiettivo di scardinare la legge quadro 394/91, considerata, finora, una tra le migliori al mondo nel campo della tutela della biodiversità e della protezione degli ecosistemi e non solo.
Un fiore all'occhiello per il nostro Paese, fiore che qualcuno sta cercando ostinatamente di far appassire, per soddisfare certi gruppi di potere facilmente. individuabili
L' aggressione ai parchi nazionali, alle aree protette, alla Rete Natura 2000 è ormai palese. Il Parlamento bocci questa proposta deleteria per la conservazione della natura e la tutela del paesaggio, che verrebbero svenduti, con gravissimi danni anche per la collettività.
La bocci, prima che sia troppo tardi.
Lì, 22 Settembre 2011
Le Associazioni
ALTURA
ITALIA NOSTRA CALABRIA
WWF
LIPURENDE
MEDITERRANEA NATURA
COMITATO NAZIONALE PAESAGGIO
ENPA-CROTONE
ARCI-CROTONE
mercoledì 21 settembre 2011
Basento, un fiume di veleni
Qualità, rintracciabilità, trasparenza. Certo parole importanti per la nostra sicurezza alimentare, nonostante smaltiamo rifiuti industriali mischiandoli pure nella produzione di mangimi per animali, che a nostra volta, mangiamo. I residui chimici però, a volte ritornano nei nostri organismi a partire dall’origine del processo produttivo.
Attraverso l’irrigazione dei campi, l’abbeveraggio di bestiame. Il Basento, sino alla piana di Metaponto, subisce pressioni antropiche e presenta aree fortemente inquinate. Interagiscono in qualche modo con il suo corso? Quali possibili effetti hanno le sostanze riscontrate sulla salute umana? E cosa si sta facendo per preservare un bene fondamentale anche per il nostro ciclo alimentare?
Seguiamo il fiume partendo da Nord. Da Tito. A poche centinaia di metri dal fiume la
prima area inquinata. La storia inizia nel ‘95 quando risultò necessario bonificare. Se ne sarebbe dovuta occupare una società ma “se nel 1996 – ha affermato Maurizio Bolognetti dei Radicali lucani – i fanghi presenti erano circa 170 mila tonnellate, nel 2001 si è arrivati a 250 mila”. Nello stesso anno arriva il sequestro. L’Organizzazione Lucana Ambientalista (Ola, ndr) nel suo Dossier ricorda che la zona è tra le più ad alto rischio per la salute in Italia. Sotto terra rifiuti industriali. 59 mila metri quadri, 7 campi di calcio messi insieme caratterizzati dai residui tossici accumulati dopo la chiusura della Liquichimica e da rifiuti di diversa origine sui quali “è quasi certo – denuncia Bolognetti – che qualcuno si sia arricchito facendo affari col traffico dei rifiuti. Ecomafie”. Oltre alle ecomafie in Basilicata s’autodenunciano le industrie. Nel 2006, a Tito, lo fa un’impresa per un pesante atto di contaminazione della falda acquifera e del terreno. Si parla di tricloroetilene, tricloroetano, dicloroetilene, bromodiclorometano, cloroformio, bromoformio, cloruro di vinile monomero, esaclorobutadene, tetracloroetilene, sommatoria organoclorurati e idrocarburi totali. Sostanze tossiche, cancerogene e persistenti, insiste la Ola, riscontrate anche “in percentuali un milione di volte superiori ai limiti consentiti”.
Il 20 agosto 2009, la situazione d’inquinamento del fiume Basento e del fiume Tora porta Bolognetti a consegnare un esposto alla Procura della Repubblica di Potenza. Ma l’acqua scorre. Raggiunge altre contaminazioni prossime al fiume. La zona industriale di Ferrandina, la “pista di volo” e l’area “ex metanolo” di Pisticci. Un report del 2001 dello Studio Omega mostra come nella prima il 41 per cento degli scavi presentano superamenti. C’è di tutto. Idrocarburi policiclici aromatici (Ipa, ndr), con una tossicità – conferma l’Università di Padova – multiorgano e particolarmente implicati nei tumori di polmone, vescica e cute, rene, laringe, mammella, e da un punto di vista immunotossicologico in allergie, immunosoppressione, degenerazione maligna linfocitaria. Rientrano in ricerche sull’aterosclerosi, sulla connessione con malformazioni, deficit funzionali e insufficienza renale dovuti all’esposizione durante la vita neonatale. Per alcune come il benzo-perilene s’arriva a superare il limite di120 volte (vedi box Le analisi). Sostanze assorbite tramite respirazione, attraverso la cute, e mangiando. Cibi affumicati, ma anche alimenti vegetali a foglia larga tipo lattuga, spinaci, e frutta come cereali allo stato grezzo.
E poi metalli pesanti tipo mercurio, che, come cadmio piombo e nichel, oltre al
basento_idrocarburi_foce
cancro possono causare danni ai reni, al sistema nervoso e al sistema immunitario. E c‘è tetracloro-etano. L’International Uniform Chemical Information Database afferma che è difficilmente biodegradabile e molto tossico, per le acque potabili anche in caso di perdite nel sottosuolo di quantità minime. E il benzene? Secondo l’Agenzia Internazionale per la ricerca sul cancro, oltre alla cancerogenicità, vi è una limitata evidenza per una associazione causale con leucemia linfocitica acuta, mieloma multiplo, linfoma non-Hodgkin, e una forte evidenza che i suoi metaboliti producono effetti genotossici. Il limite è 2, nell’area di prelievo segna 22. C’è dicloroetano 34 volte superiore. Come effetti sono state osservate alterazioni epatobiliari, distonie neurovegetative e alterazioni della funzione tiroidea. E per le acque? Si superano i limiti di solfati, manganese, e tricloroetilene, prodotto difficilmente biodegradabile che può provocare effetti negativi per l’ambiente acquatico. Nell’uomo il solito cancro ed è sospettato di causare alterazioni genetiche. Il tricloroetano supera di circa 3 mila volte il limite. L’Agency for Toxic Substances & Disease Registry sottolinea gli effetti sul sistema nervoso ed epatico. Oggi dall’area diaframmata di Ferrandina viene giù un tubo dritto nel Basento.
Il depuratore sembra addormentato. A dieci metri un puzzo forte e acre toglie il respiro. S’immerge nel fiume e torna a galla annerendo l’acqua attorno. Poco più sula Materit, ex fabbrica di manufatti in cemento-amianto. Nella sua caratterizzazione sono risultati livelli d’amianto nel terreno anche 62 mila volte superiori e un inquinamento della falda da esaclorobutadiene, tricloretilene. Ovviamente tutto cancerogeno. Dentro lo stabilimento, non si sa come siano entrati, lavatrici, frigoriferi, cucine. Rifiuti che devono essere stoccati con cautela per i materiali nocivi che contengono. Fuori, nei pozzi di raccolta acque di superficie, poco tempo fa galleggiava un liquido nero e oleoso. A Pisticci Scalo il 44 per cento degli scavi presentano superamenti. È riscontrato mercurio, nichel, rame. Le acque mostrano superamenti di solfati, manganese, la presenza di selenio, cromo, nichel e valori molto elevati di cloruri. L’amianto è diffuso in tutta l’area, e anche qui, come a Tito, s’evidenziano materiali estranei. Una presenza tanto massiccia da far produrre una tabella di rifiuti interrati. C’è di tutto. Persino bidoni corrosi. È lo scenario di un’area utilizzata per smaltimenti illeciti. E si va avanti così da decenni. Nel ’90 una Commissione parlamentare evidenziò gli sversamenti in alcuni pozzi. L’ex Coordinatore di Legambiente in quel periodo denunciò come le tonnellate di rifiuti tossici sversati in discariche abusive in Valbasento rappresentavano solo la punta d’un Iceberg e che nell’area emergeva una notevole incidenza di morti per cancri, malformazioni in persone e animali, un elevato tasso di malattie dell’apparato respiratorio, leucemie.
È la Basilicata borderline, sospesa tra l’idea di incontaminato e aumenti di cancri
tipici di realtà pesantemente inquinate. Nel 2000 un’altra Commissione la ricordò come regione con la percentuale più elevata di produzione di rifiuti speciali cui corrispondeva una bassa industrializzazione. Risultò rilevante che su circa 600 mila tonnellate, di ben oltre la metà non si sapesse la destinazione finale. Fu verbalizzato “presunta gestione illecita”. Il Basento intanto continua a scorrere e senza presumere sfiora queste isole tossiche i cui terreni, con le piogge, diventano pantani che filtrano l’acqua e la reimmettono nel fiume. È il ciclo dell’acqua. Nel 2003 una ricerca del Cnr-Irpi di Bari s’occupò dei rischi di degrado delle acque sotterranee della piana di Metaponto. L’inquinamento caratterizzante le acque sotterranee risultò un “reale problema ambientale”. “Il degrado quantitativo e qualitativo – è scritto – costituiscono un rischio concreto che minaccia le risorse idriche della piana”. Precisava che un’acqua sotterranea molto rara rispetto alle caratteristiche dell’area contraddistingueva i campioni prelevati in prossimità del Basento. Oltre a fenomeni di inquinamento da contaminanti agricoli e perdite da reti fognarie, viste le concentrazioni elevate d’ammoniaca e coliformi totali e fecali, s’evidenziò la presenza di elementi cancerogeni quali l’arsenico, lo zinco e il rame.
Risultati associati alla consapevolezza d’un fiume con un pesante carico inquinante il cui bacino, con la più alta densità abitativa e concentrazione di industrie, rendeva le acque fluviali “soggette a un maggior rischio di inquinamento e, per possibili perdite dal fiume stesso, conseguentemente anche la falda idrica“. Questione seria la falda. Tanto che il 29 marzo di quest’anno il Commissario Straordinario del Comune di Pisticci trasmetteva una deliberazione al Ministero dell’Ambiente, alla Regione, alla Asl e ai comuni interessati con oggetto la bonifica del Sito di interesse nazionale Valbasento (Sin, ndr). A due giorni dalla Conferenza di servizi il Commissario fa presente al Ministero che nel novembre 2006 aveva assegnato 2.272.727 euro per intervenire, “in particolare” si legge, sull’inquinamento della falda, e che la Regione ne aveva resi disponibili altri 2.272.727. “Risultava improcrastinabile definire un percorso certo delle attività di messa in sicurezza, bonifica e risanamento ambientale dell’intero sito, in particolare attraverso gli interventi di bonifica delle acque sotterranee”. E l’Accordo di programma del 2009 ribadiva che ciascuna parte, per la propria competenza, avrebbe dovuto “progettare e realizzare gli interventi di messa in sicurezza delle acque di falda e dei suoli delle aree pubbliche nonché di quelle agricole colpite da inquinamento indotto”. Un’azione importante al punto da incamerare 3.845.454 euro su 4.545.454. Il soggetto attuatore doveva individuarlo Ministero dell’ambiente e Arpab (Agenzia regionale per la protezione ambientale della Basilicata, ndr), e tutti gli interventi avrebbero dovuto concludersi in 24 mesi. “Avrebbero”, perché ad oggi “non si conosce – afferma il Commissario – lo stato d’attuazione degli interventi”. “È etico – ricorda un report dell’Istituto superiore di sanità del 2005 sui Sin – che gli interventi di bonifica vengano posti in opera senza attendere lo sviluppo di casi di malattia conclamata”.
Andrea Spartaco
Fonte: http://www.pisticci.com/territorio/2727-un-fiume-di-veleni
Attraverso l’irrigazione dei campi, l’abbeveraggio di bestiame. Il Basento, sino alla piana di Metaponto, subisce pressioni antropiche e presenta aree fortemente inquinate. Interagiscono in qualche modo con il suo corso? Quali possibili effetti hanno le sostanze riscontrate sulla salute umana? E cosa si sta facendo per preservare un bene fondamentale anche per il nostro ciclo alimentare?
Seguiamo il fiume partendo da Nord. Da Tito. A poche centinaia di metri dal fiume la
prima area inquinata. La storia inizia nel ‘95 quando risultò necessario bonificare. Se ne sarebbe dovuta occupare una società ma “se nel 1996 – ha affermato Maurizio Bolognetti dei Radicali lucani – i fanghi presenti erano circa 170 mila tonnellate, nel 2001 si è arrivati a 250 mila”. Nello stesso anno arriva il sequestro. L’Organizzazione Lucana Ambientalista (Ola, ndr) nel suo Dossier ricorda che la zona è tra le più ad alto rischio per la salute in Italia. Sotto terra rifiuti industriali. 59 mila metri quadri, 7 campi di calcio messi insieme caratterizzati dai residui tossici accumulati dopo la chiusura della Liquichimica e da rifiuti di diversa origine sui quali “è quasi certo – denuncia Bolognetti – che qualcuno si sia arricchito facendo affari col traffico dei rifiuti. Ecomafie”. Oltre alle ecomafie in Basilicata s’autodenunciano le industrie. Nel 2006, a Tito, lo fa un’impresa per un pesante atto di contaminazione della falda acquifera e del terreno. Si parla di tricloroetilene, tricloroetano, dicloroetilene, bromodiclorometano, cloroformio, bromoformio, cloruro di vinile monomero, esaclorobutadene, tetracloroetilene, sommatoria organoclorurati e idrocarburi totali. Sostanze tossiche, cancerogene e persistenti, insiste la Ola, riscontrate anche “in percentuali un milione di volte superiori ai limiti consentiti”.
Il 20 agosto 2009, la situazione d’inquinamento del fiume Basento e del fiume Tora porta Bolognetti a consegnare un esposto alla Procura della Repubblica di Potenza. Ma l’acqua scorre. Raggiunge altre contaminazioni prossime al fiume. La zona industriale di Ferrandina, la “pista di volo” e l’area “ex metanolo” di Pisticci. Un report del 2001 dello Studio Omega mostra come nella prima il 41 per cento degli scavi presentano superamenti. C’è di tutto. Idrocarburi policiclici aromatici (Ipa, ndr), con una tossicità – conferma l’Università di Padova – multiorgano e particolarmente implicati nei tumori di polmone, vescica e cute, rene, laringe, mammella, e da un punto di vista immunotossicologico in allergie, immunosoppressione, degenerazione maligna linfocitaria. Rientrano in ricerche sull’aterosclerosi, sulla connessione con malformazioni, deficit funzionali e insufficienza renale dovuti all’esposizione durante la vita neonatale. Per alcune come il benzo-perilene s’arriva a superare il limite di120 volte (vedi box Le analisi). Sostanze assorbite tramite respirazione, attraverso la cute, e mangiando. Cibi affumicati, ma anche alimenti vegetali a foglia larga tipo lattuga, spinaci, e frutta come cereali allo stato grezzo.
E poi metalli pesanti tipo mercurio, che, come cadmio piombo e nichel, oltre al
basento_idrocarburi_foce
cancro possono causare danni ai reni, al sistema nervoso e al sistema immunitario. E c‘è tetracloro-etano. L’International Uniform Chemical Information Database afferma che è difficilmente biodegradabile e molto tossico, per le acque potabili anche in caso di perdite nel sottosuolo di quantità minime. E il benzene? Secondo l’Agenzia Internazionale per la ricerca sul cancro, oltre alla cancerogenicità, vi è una limitata evidenza per una associazione causale con leucemia linfocitica acuta, mieloma multiplo, linfoma non-Hodgkin, e una forte evidenza che i suoi metaboliti producono effetti genotossici. Il limite è 2, nell’area di prelievo segna 22. C’è dicloroetano 34 volte superiore. Come effetti sono state osservate alterazioni epatobiliari, distonie neurovegetative e alterazioni della funzione tiroidea. E per le acque? Si superano i limiti di solfati, manganese, e tricloroetilene, prodotto difficilmente biodegradabile che può provocare effetti negativi per l’ambiente acquatico. Nell’uomo il solito cancro ed è sospettato di causare alterazioni genetiche. Il tricloroetano supera di circa 3 mila volte il limite. L’Agency for Toxic Substances & Disease Registry sottolinea gli effetti sul sistema nervoso ed epatico. Oggi dall’area diaframmata di Ferrandina viene giù un tubo dritto nel Basento.
Il depuratore sembra addormentato. A dieci metri un puzzo forte e acre toglie il respiro. S’immerge nel fiume e torna a galla annerendo l’acqua attorno. Poco più sula Materit, ex fabbrica di manufatti in cemento-amianto. Nella sua caratterizzazione sono risultati livelli d’amianto nel terreno anche 62 mila volte superiori e un inquinamento della falda da esaclorobutadiene, tricloretilene. Ovviamente tutto cancerogeno. Dentro lo stabilimento, non si sa come siano entrati, lavatrici, frigoriferi, cucine. Rifiuti che devono essere stoccati con cautela per i materiali nocivi che contengono. Fuori, nei pozzi di raccolta acque di superficie, poco tempo fa galleggiava un liquido nero e oleoso. A Pisticci Scalo il 44 per cento degli scavi presentano superamenti. È riscontrato mercurio, nichel, rame. Le acque mostrano superamenti di solfati, manganese, la presenza di selenio, cromo, nichel e valori molto elevati di cloruri. L’amianto è diffuso in tutta l’area, e anche qui, come a Tito, s’evidenziano materiali estranei. Una presenza tanto massiccia da far produrre una tabella di rifiuti interrati. C’è di tutto. Persino bidoni corrosi. È lo scenario di un’area utilizzata per smaltimenti illeciti. E si va avanti così da decenni. Nel ’90 una Commissione parlamentare evidenziò gli sversamenti in alcuni pozzi. L’ex Coordinatore di Legambiente in quel periodo denunciò come le tonnellate di rifiuti tossici sversati in discariche abusive in Valbasento rappresentavano solo la punta d’un Iceberg e che nell’area emergeva una notevole incidenza di morti per cancri, malformazioni in persone e animali, un elevato tasso di malattie dell’apparato respiratorio, leucemie.
È la Basilicata borderline, sospesa tra l’idea di incontaminato e aumenti di cancri
tipici di realtà pesantemente inquinate. Nel 2000 un’altra Commissione la ricordò come regione con la percentuale più elevata di produzione di rifiuti speciali cui corrispondeva una bassa industrializzazione. Risultò rilevante che su circa 600 mila tonnellate, di ben oltre la metà non si sapesse la destinazione finale. Fu verbalizzato “presunta gestione illecita”. Il Basento intanto continua a scorrere e senza presumere sfiora queste isole tossiche i cui terreni, con le piogge, diventano pantani che filtrano l’acqua e la reimmettono nel fiume. È il ciclo dell’acqua. Nel 2003 una ricerca del Cnr-Irpi di Bari s’occupò dei rischi di degrado delle acque sotterranee della piana di Metaponto. L’inquinamento caratterizzante le acque sotterranee risultò un “reale problema ambientale”. “Il degrado quantitativo e qualitativo – è scritto – costituiscono un rischio concreto che minaccia le risorse idriche della piana”. Precisava che un’acqua sotterranea molto rara rispetto alle caratteristiche dell’area contraddistingueva i campioni prelevati in prossimità del Basento. Oltre a fenomeni di inquinamento da contaminanti agricoli e perdite da reti fognarie, viste le concentrazioni elevate d’ammoniaca e coliformi totali e fecali, s’evidenziò la presenza di elementi cancerogeni quali l’arsenico, lo zinco e il rame.
Risultati associati alla consapevolezza d’un fiume con un pesante carico inquinante il cui bacino, con la più alta densità abitativa e concentrazione di industrie, rendeva le acque fluviali “soggette a un maggior rischio di inquinamento e, per possibili perdite dal fiume stesso, conseguentemente anche la falda idrica“. Questione seria la falda. Tanto che il 29 marzo di quest’anno il Commissario Straordinario del Comune di Pisticci trasmetteva una deliberazione al Ministero dell’Ambiente, alla Regione, alla Asl e ai comuni interessati con oggetto la bonifica del Sito di interesse nazionale Valbasento (Sin, ndr). A due giorni dalla Conferenza di servizi il Commissario fa presente al Ministero che nel novembre 2006 aveva assegnato 2.272.727 euro per intervenire, “in particolare” si legge, sull’inquinamento della falda, e che la Regione ne aveva resi disponibili altri 2.272.727. “Risultava improcrastinabile definire un percorso certo delle attività di messa in sicurezza, bonifica e risanamento ambientale dell’intero sito, in particolare attraverso gli interventi di bonifica delle acque sotterranee”. E l’Accordo di programma del 2009 ribadiva che ciascuna parte, per la propria competenza, avrebbe dovuto “progettare e realizzare gli interventi di messa in sicurezza delle acque di falda e dei suoli delle aree pubbliche nonché di quelle agricole colpite da inquinamento indotto”. Un’azione importante al punto da incamerare 3.845.454 euro su 4.545.454. Il soggetto attuatore doveva individuarlo Ministero dell’ambiente e Arpab (Agenzia regionale per la protezione ambientale della Basilicata, ndr), e tutti gli interventi avrebbero dovuto concludersi in 24 mesi. “Avrebbero”, perché ad oggi “non si conosce – afferma il Commissario – lo stato d’attuazione degli interventi”. “È etico – ricorda un report dell’Istituto superiore di sanità del 2005 sui Sin – che gli interventi di bonifica vengano posti in opera senza attendere lo sviluppo di casi di malattia conclamata”.
Andrea Spartaco
Fonte: http://www.pisticci.com/territorio/2727-un-fiume-di-veleni
Moria di pesci nel Basento tra Ferrandina e Pisticci
Il Basento è un grave malato che nessuno si preoccupa seriamente di curare. L’ultimo sintomo del pessimo stato di salute del principale fiume lucano è stato registrato lo scorso week end in una zona al confine tra Ferrandina e Pisticci.
Per circa due chilometri le sue acque sono diventate un cimitero di pesci di ogni specie. Carpe, carassi, cavedani, barbi, alborelle e anguille, vittime, molto probabilmente, di qualche sostanza sversata nel fiume. Il suo fondale, nei tratti interessati dal fenomeno, è diventato scuro, macchiato di un prodotto che a vista ed anche a naso sembra avere a che fare con il petrolio o qualche suo derivato.
I risultati delle analisi condotte dall’Arpab sui prelievi evidenziano la bassa presenza di ossigeno ed una elevata quantità di fosfati. Le indagini sulle carni dei pesci, invece, devono ancora essere note. Ma già gli elementi riscontrati potrebbero spiegare il fenomeno.
La Forestale sembra indirizzata a monitorare con attenzione alcuni scarichi nella zona industriale di Ferrandina, ma al momento non sembra essere nota con precisione l’origine dello sversamento. Non si esclude l’ipotesi di un autobotte che illegalmente abbia riversato delle sostanze chimiche nel fiume, facilmente raggiungibile in diversi punti nella zona interessata dalla moria.
L’evidenza immediata porta riscontri sulla vita dei pesci. Ma nei pressi degli argini
basento fondale scuro del fiume abbiamo trovato le tracce evidenti di mandrie e greggi che regolarmente vi si abbeverano, usando la stessa acqua che, seppur impropriamente, può essere utilizzata per irrigare i campi o dissetare un airone così come la selvaggina che poi viene cacciata. Le carni di bovini e caprini, il loro latte ed i suoi derivati, la frutta e gli ortaggi arrivano sulle nostre tavole. I cinghiali, alcuni uccelli ed altre prede sono alimento di cacciatori e delle loro comitive. E tutti questi prodotti rischiano di essere contaminati dalla stesse sostanze che hanno provocato la moria dei pesci. E così il ciclo dell’avvelenamento da chimica entra nei nostri corpi e diventa un affare che ci riguarda da vicino più di quanto si possa immaginare.
A segnalare l’episodio ai Carabinieri ed ai Vigili del Fuoco, sabato scorso, un giovane pisticcese che si trovava in zona e che aveva frequentato lo stesso posto nei giorni precedenti. Francesco Quinto, questo il nome del ragazzo, oltre alla miriade di pesci morti di fronte al cui agghiacciante scenario si è ritrovato non appena sceso dall’auto, ha potuto notare la differenza di colorazione del fondale del fiume e percepire un cattivo odore che non era presente fino a qualche giorno prima. Con Francesco, Pisticci.com ha effettuato un sopralluogo ieri mattina. In acqua c’erano ancora tanti pesci a galla, ammassati soprattutto nelle anse del fiume. Il fondale risulta effettivamente scuro, macchiato da una sostanza nera ed il cattivo odore è evidente. Risaliamo il fiume per alcuni tratti. Lo scenario è lo stesso. La moria di pesci si estende in un percorso del Basento abbastanza lungo. Sufficiente a determinare una emergenza di natura ambientale che rivendica risposte a partire dalla certezze sulle cause della morte dei pesci, sulla tipologia di sostanze depositate sul fondale del fiume e, innanzitutto, sugli autori di questo ennesimo scempio.
Finora, a dire il vero, risposte esaustive non ne sono arrivate su altri casi di
pesci morti riscontrati sul Basento ed anche sul Cavone. Giusto un anno fa, alla foce Cavone, si verificò un’altra moria di pesci. Le analisi sulle carni degli esemplari prelevati non dettero alcuna risposta. Quelle sulle acque non le abbiamo mai conosciute. Una spiegazione definitiva sulle cause del fenomeno non è mai arrivata. E, ovviamente, non è stato individuato alcun responsabile.
Stesso esito per l’inchiesta relativa allo sversamento di idrocarburi nel fiume Basento a partire dal canale di Tecnoparco. Un episodio verificatosi nell’ottobre del 2005, che causò notevoli danni all’ecosistema fluviale, diventato nero pece in diversi tratti e per numerosi chilometri fino alla sua foce. Le analisi evidenziarono elevati valori di cod, sostanze oleose totali ed idrocarburi totali. Ma di responsabili individuati e puniti nemmeno l’ombra.
La speranza, questa volta, è che le indagini possano portare a maggiori certezze e ad una precisa responsabilità. Troppe volte, in questo territorio, il clamore prodotto dalla novità di una notizia ha ceduto il passo agli ingombranti silenzi sopravvenuti non appena il richiamo mediatico ha esaurito la sua capacità di incuriosire. Ed è anche su questa indifferenza che punta per continuare ad agire indisturbato chi reitera a suo vantaggio il culto degli smaltimenti illeciti che, se non è ancora chiaro, spesso fa rima con ecomafia.
Roberto D'Alessandro
Fonte:www.pisticci.com
Per circa due chilometri le sue acque sono diventate un cimitero di pesci di ogni specie. Carpe, carassi, cavedani, barbi, alborelle e anguille, vittime, molto probabilmente, di qualche sostanza sversata nel fiume. Il suo fondale, nei tratti interessati dal fenomeno, è diventato scuro, macchiato di un prodotto che a vista ed anche a naso sembra avere a che fare con il petrolio o qualche suo derivato.
I risultati delle analisi condotte dall’Arpab sui prelievi evidenziano la bassa presenza di ossigeno ed una elevata quantità di fosfati. Le indagini sulle carni dei pesci, invece, devono ancora essere note. Ma già gli elementi riscontrati potrebbero spiegare il fenomeno.
La Forestale sembra indirizzata a monitorare con attenzione alcuni scarichi nella zona industriale di Ferrandina, ma al momento non sembra essere nota con precisione l’origine dello sversamento. Non si esclude l’ipotesi di un autobotte che illegalmente abbia riversato delle sostanze chimiche nel fiume, facilmente raggiungibile in diversi punti nella zona interessata dalla moria.
L’evidenza immediata porta riscontri sulla vita dei pesci. Ma nei pressi degli argini
basento fondale scuro del fiume abbiamo trovato le tracce evidenti di mandrie e greggi che regolarmente vi si abbeverano, usando la stessa acqua che, seppur impropriamente, può essere utilizzata per irrigare i campi o dissetare un airone così come la selvaggina che poi viene cacciata. Le carni di bovini e caprini, il loro latte ed i suoi derivati, la frutta e gli ortaggi arrivano sulle nostre tavole. I cinghiali, alcuni uccelli ed altre prede sono alimento di cacciatori e delle loro comitive. E tutti questi prodotti rischiano di essere contaminati dalla stesse sostanze che hanno provocato la moria dei pesci. E così il ciclo dell’avvelenamento da chimica entra nei nostri corpi e diventa un affare che ci riguarda da vicino più di quanto si possa immaginare.
A segnalare l’episodio ai Carabinieri ed ai Vigili del Fuoco, sabato scorso, un giovane pisticcese che si trovava in zona e che aveva frequentato lo stesso posto nei giorni precedenti. Francesco Quinto, questo il nome del ragazzo, oltre alla miriade di pesci morti di fronte al cui agghiacciante scenario si è ritrovato non appena sceso dall’auto, ha potuto notare la differenza di colorazione del fondale del fiume e percepire un cattivo odore che non era presente fino a qualche giorno prima. Con Francesco, Pisticci.com ha effettuato un sopralluogo ieri mattina. In acqua c’erano ancora tanti pesci a galla, ammassati soprattutto nelle anse del fiume. Il fondale risulta effettivamente scuro, macchiato da una sostanza nera ed il cattivo odore è evidente. Risaliamo il fiume per alcuni tratti. Lo scenario è lo stesso. La moria di pesci si estende in un percorso del Basento abbastanza lungo. Sufficiente a determinare una emergenza di natura ambientale che rivendica risposte a partire dalla certezze sulle cause della morte dei pesci, sulla tipologia di sostanze depositate sul fondale del fiume e, innanzitutto, sugli autori di questo ennesimo scempio.
Finora, a dire il vero, risposte esaustive non ne sono arrivate su altri casi di
pesci morti riscontrati sul Basento ed anche sul Cavone. Giusto un anno fa, alla foce Cavone, si verificò un’altra moria di pesci. Le analisi sulle carni degli esemplari prelevati non dettero alcuna risposta. Quelle sulle acque non le abbiamo mai conosciute. Una spiegazione definitiva sulle cause del fenomeno non è mai arrivata. E, ovviamente, non è stato individuato alcun responsabile.
Stesso esito per l’inchiesta relativa allo sversamento di idrocarburi nel fiume Basento a partire dal canale di Tecnoparco. Un episodio verificatosi nell’ottobre del 2005, che causò notevoli danni all’ecosistema fluviale, diventato nero pece in diversi tratti e per numerosi chilometri fino alla sua foce. Le analisi evidenziarono elevati valori di cod, sostanze oleose totali ed idrocarburi totali. Ma di responsabili individuati e puniti nemmeno l’ombra.
La speranza, questa volta, è che le indagini possano portare a maggiori certezze e ad una precisa responsabilità. Troppe volte, in questo territorio, il clamore prodotto dalla novità di una notizia ha ceduto il passo agli ingombranti silenzi sopravvenuti non appena il richiamo mediatico ha esaurito la sua capacità di incuriosire. Ed è anche su questa indifferenza che punta per continuare ad agire indisturbato chi reitera a suo vantaggio il culto degli smaltimenti illeciti che, se non è ancora chiaro, spesso fa rima con ecomafia.
Roberto D'Alessandro
Fonte:www.pisticci.com
lunedì 19 settembre 2011
Progetto Biancone 2011
Anche quest’anno torna il “Progetto Biancone” finanziato già durante l’anno precedente dall’Osservatorio Faunistico della Regione Basilicata e condotto in collaborazione tra il Parco Regionale di “Gallipoli Cognato Piccole Dolomiti Lucane” e l’Università di Alicante.
Il Biancone (Circaetus gallicus) è una specie migratrice che nidifica in ambienti mediterranei e sverna prevalentemente in Africa, mediante la telemetria satellitare e sfruttando la tecnologia GPS/Argos sarà possibile seguire gli spostamenti dei tre rapaci nei prossimi anni, studiare con precisione le rotte migratorie utilizzate e individuare le aree di svernamento.
Nello scorso luglio sono stati marcati con trasmettitori satellitari tre giovani Bianconi nati all’interno del Parco sito nel cuore della Basilicata, alle tre aquile sono stati dati i nomi di Federico, Pilar e Crocco.
Sul sito internet del Parco, all’interno di una pagina dedicata a questo progetto, sarà possibile seguire la migrazione dei tre animali attraverso aggiornamenti costanti.
Il link per visualizzare le mappe è il seguente:
http://www.parcogallipolicognato.it/ita/web/nav.asp?nav=130
Per ulteriori informazioni contattare:
peppelucia@gmail.com
ugomellone@libero.it
info@pargogallipolicognato.it
Il Biancone (Circaetus gallicus) è una specie migratrice che nidifica in ambienti mediterranei e sverna prevalentemente in Africa, mediante la telemetria satellitare e sfruttando la tecnologia GPS/Argos sarà possibile seguire gli spostamenti dei tre rapaci nei prossimi anni, studiare con precisione le rotte migratorie utilizzate e individuare le aree di svernamento.
Nello scorso luglio sono stati marcati con trasmettitori satellitari tre giovani Bianconi nati all’interno del Parco sito nel cuore della Basilicata, alle tre aquile sono stati dati i nomi di Federico, Pilar e Crocco.
Sul sito internet del Parco, all’interno di una pagina dedicata a questo progetto, sarà possibile seguire la migrazione dei tre animali attraverso aggiornamenti costanti.
Il link per visualizzare le mappe è il seguente:
http://www.parcogallipolicognato.it/ita/web/nav.asp?nav=130
Per ulteriori informazioni contattare:
peppelucia@gmail.com
ugomellone@libero.it
info@pargogallipolicognato.it
domenica 18 settembre 2011
mercoledì 14 settembre 2011
La Basilicata dei boschi, tra interessi e tagli
di Enzo Palazzo
È un naturalista storico, giornalista, autore di 20 libri e 200 pubblicazioni scientifiche. Nel 1971 lanciò il “Progetto Pollino” nell’ambito della prima proposta organica del futuro parco nazionale calabro lucano. A Franco Tassi, che ha diretto per molti anni il Parco Nazionale d’Abruzzo, trasformandolo in un modello d’avanguardia a livello europeo, in un momento in cui lo sfruttamento dei boschi in Basilicata è tornato ad essere una minaccia, la Gazzetta ha chiesto se si può ammettere un ragionevole sfruttamento boschivo anche in un grande Parco nazionale?
«Per armonizzare i molti interessi in gioco, la strada maestra è quella della “zonazione”: nei boschi più vicini si possono consentire ragionevoli prelievi controllati, anche perchè esistono diritti e tradizioni importanti, come l’uso civico di legnatico e fungatico e le feste dell’albero, da interpretare, però, in un modo più attento e compatibile con la tutela ecologica. Ma nelle foreste più lontane, a quote elevate, sulle creste, nelle vallecole e nelle cosiddette “fasce di protezione” non va toccato nulla: qui vige il principio della riserva integrale e deve comandare la natura. Ricordiamo che, come nel Parco d’Abruzzo, anche in quello del Pollino (soprattutto nella parte della Catena Costiera) esistono ancora lembi sparsi e limitati, ma straordinariamente interessanti, di “selva vergine” o semi-naturale. Intervenirvi con piste, ruspe e tagli sarebbe sacrilego».
Come si preservano i boschi naturali e semi-naturali?
«Lasciando che un albero caduto e marcescente si decomponga e di lì rinasca la vita. Salvare le ultime foreste italiane costituisce una priorità assoluta per conservare il clima e le stagioni, difendere il suolo da frane e alluvioni, garantire la produzione di acque eccellenti e cristalline, offrire rifugio alla fauna selvatica. Mezzo secolo fa l’obiettivo dichiarato era il massimo sfruttamento dei boschi, misurato in metri cubi di legname tagliato. L’importanza di preservare anche il legno morto e in disfacimento – la “necromassa” –, dal quale risorge la vita e si sprigionano mille processi di rigenerazione naturale, oggi viene riconosciuta anche a livello internazionale».
Visti i conti sempre più in rosso dei Comuni, non c’è da aspettarsi la spinta allo scempio?
«Un moderato sfruttamento a beneficio di usi e tradizioni locali strettamente vigilati dalle comunità, è senz’altro accettabile. Ma ciò non significa affatto autorizzare grossi tagli industriali, magari per alimentare disastrose centrali a biomasse, come purtroppo si vorrebbe sulla Sila e sul Pollino. Questo significherebbe tornare indietro di mezzo secolo, quando querce e faggi plurisecolari venivano ceduti a due soldi per farne legna da ardere e traversine da ferrovia. A nessun sindaco, in buona o cattiva fede, dovranno essere consentiti errori tanto devastanti, perché non ha senso replicare nel parco i peggiori sistemi praticati fuori dall’area protetta. E’ proprio qui che il parco, usufruendo di tutta l’autorità di cui dispone, deve esercitare il suo controllo, chiamando in causa anche i valori paesaggistici e le tutele internazionali».
Il Parco nazionale della Val d’Agri e del Lagonegrese protegge il territorio a macchia di leopardo. Ha un senso?
«Una struttura articolata in zone è utile, ma solo se i vari usi del suolo, pur differenti tra loro, sono compatibili e armonizzati dal Parco. Debbono in sostanza tendere al fine comune, che è quello di un’area protetta, con tutti i benefici che ne derivano. Se invece sono divergenti, o addirittura opposti, il conflitto prima o poi è inevitabile. Significa prendere in giro la collettività, promettendo la difesa del territorio e della natura, ma perseguendo invece altri scopi meno chiari, magari per interessi inconfessabili».
Ma si possono gestire i parchi commissariandoli, come avviene nella Val d’Agri?
«Dovrebbe avere carattere eccezionale, invece è una comoda pratica sempre più diffusa, che mira a consolidare certi poteri e a renderli indiscussi. Impedire abusi del genere dipende, anche e soprattutto, dalla nostra capacità di vigilanza, intervento e mobilitazione civile».
Enzo Palazzo
L’esempio del Costa Rica con il “restauro ambientale”
«In Costa Rica, uno Stato che punta al benessere e all’equilibrio tra uomo e ambiente, nella Cuenca del Rio La Balsa, al nord del Paese, la gente si è accorta che coltivando e sfruttando troppo la parte alta delle montagne, non aveva più acqua sana e pulita, e la fauna stava scomparendo. L’intera comunità si è allora mobilitata in un grande progetto di restauro ambientale, acquistando piccoli lembi di terra, ricostruendo micro-bacini idrici e piantando alberi. Ad aiutarla, sono intervenute organizzazioni come l’Istituto Nectandra e un sistema di prestiti senza interessi, con lo scopo di ricreare l’ambiente, far crescere la cultura dell’acqua e della foresta, e sviluppare un nuovo tipo di ecoturismo. Ora gli stranieri accorrono qui a scoprire non solo come tutta la comunità partecipi con entusiasmo all’operazione, ma anche come la natura stia rapidamente recuperando i propri spazi. Nel giro di pochi anni, la foresta si è riformata, la biodiversità sta riprendendo il sopravvento e le acque pulite abbondano, a beneficio di tutti. Oggi, attraverso internet, chiunque può vedere cosa stia accadendo dall’altra parte dell’Oceano. Un progetto a medio e lungo termine, un investimento nel futuro, ma anche un impegno nuovo in cui tutti si sentono protagonisti e partecipi.
“Comprare la terra dove nasce l’acqua, piantare alberi e far pace con la natura vuol dire assicurare un futuro anche ai figli dei nostri figli”, è il pensiero che pervade questa nuova cultura del cambiamento, nell’interesse di tutti. Quando anche in Italia, e in Basilicata, riscopriremo che il futuro sta non nel consumare e distruggere, ma nel conservare e ricreare l’armonia e le risorse della natura, allora la scelta tra un vero Parco del futuro e le rapaci aggressioni al territorio attuali sarà semplice, sicura e condivisa».
e.p.
Se il parco diventa un luna park
La sovranità del Parco della Val d’Agri e in generale delle aree protette della Basilicata, secondo gli ambientalisti, è minacciata dalla pressione dei petrolieri. Franco Tassi, tra l’ineluttabilità del conflitto e le strategie tattiche della politica, si dice convinto che «però, quando la gente approfondisce e si muove, le cose vanno ben diversamente, come accadde col movimento popolare contro le scorie nucleari che, nel 2003, bloccò sul nascere una delle più vergognose operazioni ai danni del Mezzogiorno d’Italia: quella che voleva ridurre l’Arco Jonico a pattumiera delle zone ricche».
Ma attualmente l’impressione è che si riscontrino maggiore arroganza delle multinazionali, più leggi inapplicate e più sudditanza della politica rispetto al 2003.
«L’arroganza di tutti i poteri incontrastati si limitano sempre se la gente è unita e decisa. Talvolta il potere tenta di circuire, blandendo le autorità con promesse, collaborazioni e sponsorizzazioni. Iniziative su cui si può anche discutere, ma solo se i vincoli del Parco vengano pienamente rispettati. Altrimenti, il rischio è trasformare i parchi in una specie di luna park, come stava accadendo in America, con la Grand Canyon Company, la società concessionaria dei servizi che stava diventando più potente e politicamente influente del parco stesso». e.p.
La scheda
Le aree protette in Italia sono circa un decimo del territorio di cui neppure un quarto riguarda foreste a vocazione naturale. In Basilicata siamo al 30 per cento del territorio protetto. Ancora un secolo fa Norman Douglas poteva scrivere: “Il bosco di Policoro ha la bellezza aggrovigliata di una giungla tropicale”.
Secondo Tassi, «nessun luogo ha il fascino e la ricchezza culturale, la storia e l’arte, il folclore, il paesaggio, la biodiversità e la capacità di accoglienza dell’Italia e del Mezzogiorno. Ricordo che una sera un turista tedesco, di ritorno al litorale Jonico, dopo una lunga traversata del Pollino e una giornata trascorsa tra la terra e il cielo, esclamò: “Io non so davvero cosa ho fatto di buono nella vita, per meritare di godere meraviglie come queste!”. Ecco qual è la nostra vera ricchezza che non va contaminata, ma custodita con cura e rispetto, così come ci è stata tramandata».
[* Enzo Palazzo - La Gazzetta del Mezzogiorno del 3/9/2011]
È un naturalista storico, giornalista, autore di 20 libri e 200 pubblicazioni scientifiche. Nel 1971 lanciò il “Progetto Pollino” nell’ambito della prima proposta organica del futuro parco nazionale calabro lucano. A Franco Tassi, che ha diretto per molti anni il Parco Nazionale d’Abruzzo, trasformandolo in un modello d’avanguardia a livello europeo, in un momento in cui lo sfruttamento dei boschi in Basilicata è tornato ad essere una minaccia, la Gazzetta ha chiesto se si può ammettere un ragionevole sfruttamento boschivo anche in un grande Parco nazionale?
«Per armonizzare i molti interessi in gioco, la strada maestra è quella della “zonazione”: nei boschi più vicini si possono consentire ragionevoli prelievi controllati, anche perchè esistono diritti e tradizioni importanti, come l’uso civico di legnatico e fungatico e le feste dell’albero, da interpretare, però, in un modo più attento e compatibile con la tutela ecologica. Ma nelle foreste più lontane, a quote elevate, sulle creste, nelle vallecole e nelle cosiddette “fasce di protezione” non va toccato nulla: qui vige il principio della riserva integrale e deve comandare la natura. Ricordiamo che, come nel Parco d’Abruzzo, anche in quello del Pollino (soprattutto nella parte della Catena Costiera) esistono ancora lembi sparsi e limitati, ma straordinariamente interessanti, di “selva vergine” o semi-naturale. Intervenirvi con piste, ruspe e tagli sarebbe sacrilego».
Come si preservano i boschi naturali e semi-naturali?
«Lasciando che un albero caduto e marcescente si decomponga e di lì rinasca la vita. Salvare le ultime foreste italiane costituisce una priorità assoluta per conservare il clima e le stagioni, difendere il suolo da frane e alluvioni, garantire la produzione di acque eccellenti e cristalline, offrire rifugio alla fauna selvatica. Mezzo secolo fa l’obiettivo dichiarato era il massimo sfruttamento dei boschi, misurato in metri cubi di legname tagliato. L’importanza di preservare anche il legno morto e in disfacimento – la “necromassa” –, dal quale risorge la vita e si sprigionano mille processi di rigenerazione naturale, oggi viene riconosciuta anche a livello internazionale».
Visti i conti sempre più in rosso dei Comuni, non c’è da aspettarsi la spinta allo scempio?
«Un moderato sfruttamento a beneficio di usi e tradizioni locali strettamente vigilati dalle comunità, è senz’altro accettabile. Ma ciò non significa affatto autorizzare grossi tagli industriali, magari per alimentare disastrose centrali a biomasse, come purtroppo si vorrebbe sulla Sila e sul Pollino. Questo significherebbe tornare indietro di mezzo secolo, quando querce e faggi plurisecolari venivano ceduti a due soldi per farne legna da ardere e traversine da ferrovia. A nessun sindaco, in buona o cattiva fede, dovranno essere consentiti errori tanto devastanti, perché non ha senso replicare nel parco i peggiori sistemi praticati fuori dall’area protetta. E’ proprio qui che il parco, usufruendo di tutta l’autorità di cui dispone, deve esercitare il suo controllo, chiamando in causa anche i valori paesaggistici e le tutele internazionali».
Il Parco nazionale della Val d’Agri e del Lagonegrese protegge il territorio a macchia di leopardo. Ha un senso?
«Una struttura articolata in zone è utile, ma solo se i vari usi del suolo, pur differenti tra loro, sono compatibili e armonizzati dal Parco. Debbono in sostanza tendere al fine comune, che è quello di un’area protetta, con tutti i benefici che ne derivano. Se invece sono divergenti, o addirittura opposti, il conflitto prima o poi è inevitabile. Significa prendere in giro la collettività, promettendo la difesa del territorio e della natura, ma perseguendo invece altri scopi meno chiari, magari per interessi inconfessabili».
Ma si possono gestire i parchi commissariandoli, come avviene nella Val d’Agri?
«Dovrebbe avere carattere eccezionale, invece è una comoda pratica sempre più diffusa, che mira a consolidare certi poteri e a renderli indiscussi. Impedire abusi del genere dipende, anche e soprattutto, dalla nostra capacità di vigilanza, intervento e mobilitazione civile».
Enzo Palazzo
L’esempio del Costa Rica con il “restauro ambientale”
«In Costa Rica, uno Stato che punta al benessere e all’equilibrio tra uomo e ambiente, nella Cuenca del Rio La Balsa, al nord del Paese, la gente si è accorta che coltivando e sfruttando troppo la parte alta delle montagne, non aveva più acqua sana e pulita, e la fauna stava scomparendo. L’intera comunità si è allora mobilitata in un grande progetto di restauro ambientale, acquistando piccoli lembi di terra, ricostruendo micro-bacini idrici e piantando alberi. Ad aiutarla, sono intervenute organizzazioni come l’Istituto Nectandra e un sistema di prestiti senza interessi, con lo scopo di ricreare l’ambiente, far crescere la cultura dell’acqua e della foresta, e sviluppare un nuovo tipo di ecoturismo. Ora gli stranieri accorrono qui a scoprire non solo come tutta la comunità partecipi con entusiasmo all’operazione, ma anche come la natura stia rapidamente recuperando i propri spazi. Nel giro di pochi anni, la foresta si è riformata, la biodiversità sta riprendendo il sopravvento e le acque pulite abbondano, a beneficio di tutti. Oggi, attraverso internet, chiunque può vedere cosa stia accadendo dall’altra parte dell’Oceano. Un progetto a medio e lungo termine, un investimento nel futuro, ma anche un impegno nuovo in cui tutti si sentono protagonisti e partecipi.
“Comprare la terra dove nasce l’acqua, piantare alberi e far pace con la natura vuol dire assicurare un futuro anche ai figli dei nostri figli”, è il pensiero che pervade questa nuova cultura del cambiamento, nell’interesse di tutti. Quando anche in Italia, e in Basilicata, riscopriremo che il futuro sta non nel consumare e distruggere, ma nel conservare e ricreare l’armonia e le risorse della natura, allora la scelta tra un vero Parco del futuro e le rapaci aggressioni al territorio attuali sarà semplice, sicura e condivisa».
e.p.
Se il parco diventa un luna park
La sovranità del Parco della Val d’Agri e in generale delle aree protette della Basilicata, secondo gli ambientalisti, è minacciata dalla pressione dei petrolieri. Franco Tassi, tra l’ineluttabilità del conflitto e le strategie tattiche della politica, si dice convinto che «però, quando la gente approfondisce e si muove, le cose vanno ben diversamente, come accadde col movimento popolare contro le scorie nucleari che, nel 2003, bloccò sul nascere una delle più vergognose operazioni ai danni del Mezzogiorno d’Italia: quella che voleva ridurre l’Arco Jonico a pattumiera delle zone ricche».
Ma attualmente l’impressione è che si riscontrino maggiore arroganza delle multinazionali, più leggi inapplicate e più sudditanza della politica rispetto al 2003.
«L’arroganza di tutti i poteri incontrastati si limitano sempre se la gente è unita e decisa. Talvolta il potere tenta di circuire, blandendo le autorità con promesse, collaborazioni e sponsorizzazioni. Iniziative su cui si può anche discutere, ma solo se i vincoli del Parco vengano pienamente rispettati. Altrimenti, il rischio è trasformare i parchi in una specie di luna park, come stava accadendo in America, con la Grand Canyon Company, la società concessionaria dei servizi che stava diventando più potente e politicamente influente del parco stesso». e.p.
La scheda
Le aree protette in Italia sono circa un decimo del territorio di cui neppure un quarto riguarda foreste a vocazione naturale. In Basilicata siamo al 30 per cento del territorio protetto. Ancora un secolo fa Norman Douglas poteva scrivere: “Il bosco di Policoro ha la bellezza aggrovigliata di una giungla tropicale”.
Secondo Tassi, «nessun luogo ha il fascino e la ricchezza culturale, la storia e l’arte, il folclore, il paesaggio, la biodiversità e la capacità di accoglienza dell’Italia e del Mezzogiorno. Ricordo che una sera un turista tedesco, di ritorno al litorale Jonico, dopo una lunga traversata del Pollino e una giornata trascorsa tra la terra e il cielo, esclamò: “Io non so davvero cosa ho fatto di buono nella vita, per meritare di godere meraviglie come queste!”. Ecco qual è la nostra vera ricchezza che non va contaminata, ma custodita con cura e rispetto, così come ci è stata tramandata».
[* Enzo Palazzo - La Gazzetta del Mezzogiorno del 3/9/2011]
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