sabato 15 novembre 2008

Matera, resti di balena di 1 milione di anni fa abbandonati alle intemperie



Che fine ha fatto la balena Giuliana, il cetaceo di un milione di anni fa così ribattezzato qualche tempo dopo la sua scoperta nell’Oasi di San Giuliano? Il ritrovamento è ascrivibile a un esperto come pochi del territorio materano, il naturalista Gianfranco Lionetti. Era il 27 dicembre del 2000 e a questo evento fanno cenno, tra le altre, anche alcune pubblicazioni del direttore del museo archeologico di Metaponto, Antonio De Siena.

Dopo tutti questi anni, a quanto pare, non ci sono più soldi. Occorrono ulteriori risorse per recuperare la testa del fossile ancora intrappolata nella stessa argilla dalla quale, con non poca fatica, sono già state tirate fuori altre parti del corpo della balena, la cui lunghezza totale dovrebbe aggirarsi intorno a una ventina di metri. Secondo alcuni calcoli, la testa dovrebbe essere invece lunga circa quattro metri. Ma quello che al momento si riesce appena ad intravedere nel luogo dello scavo è un osso zigomatico. Insomma, difficile dire quale consistenza reale ha mantenuto questa parte del cetaceo che, come i paleontologi fanno notare, è normalmente costituita da tessuti ossei di non grandissima consistenza. Chi si aspetta un’ulteriore, importante scoperta potrebbe andare incontro a una cocente delusione.

E la restante parte del corpo? Si trova in alcune casse di legno all’esterno del deposito di proprietà del ministero dei Beni culturali che sorge nella zona Paip. Costole e soprattutto enormi vertebre incapsulate nell’argilla. Anche in questo caso, essendo esposte alle intemperie, perchè le casse sono sistemate allo scoperto, senza nessun riparo, alla mercè del sole, della pioggia e del freddo, si teme qualche amara sorpresa, per esempio, che il processo di degrado possa danneggiare gravemente quanto è stato con dispendio di energie portato alla luce.

A conti fatti, Giuliana non se la passa tanto bene. Di più, appare addirittura problematica una sua completa ricostruzione per un’eventuale fruizione futura. Solamente alcune parti, comunque degne di interesse, potranno essere esposte nella loro originalità. Il resto, sarà difficile recuperarlo, è sicuramente già andato perduto, per cui bisognerà accontentarsi di una ricostruzione parziale del cetaceo, magari integrata da protesi artificiali.

Il problema che pone la pubblica fruizione di un ritrovamento del quale hanno parlato gli organi d’informazione di mezzo mondo è probabilmente gravido di molteplici altri non trascurabili motivi di interesse. Matera, città Unesco, sito riconosciuto tra i più antichi del bacino mediterraneo, nel suo territorio custodisce testimonianze di grande pregio che precedono la presenza dell’uomo. La cosa non è particolarmente nota, ma nel Museo archeologico Domenico Ridola erano già custoditi altri reperti di balena di un milione di anni fa. Ritrovamenti che godono di buona compagnia se si considera la presenza di segmenti ossei fossilizzati di un delfino e numerosi gusci di molluschi che evocano un passato remotissimo perchè legato a terre sommerse dal mare. Più avanti nel tempo, il fascino della scoperta continua con reperti attestanti la fauna quaternaria recuperati da Ridola in quelle che definì la caverne ossifere del Materano. Ovvero, resti di orsi, bisonti, iene, cavalli, daini, cervi, stambecchi, testimonianze di varie ere climatiche, ultimi relitti restituiti al tempo presente di una fauna ormai del tutto estinta da queste parti e che parla invece di terre anche fittamente boscate. Dominava un altro scenario, lontano da quello attuale, dall’altopiano che siamo abituati ad osservare oggi nella severa veste calcarenitica, rocciosa, per certi versi desertica, matrigna nei confronti della vita organizzata in comunità. Segno che anche gli uomini e le donne dei villaggi trincerati sparsi tra le contrade di Trasano, Trasanello, Tirlecchia, Serra d’Alto e Murgia Timone si muovevano in un contesto molto diverso, sicuramente meno sfavorevole e più ricco dal punto di vista della vegetazione e dell’avifauna presente in loco. Basterebbero queste suggestioni, la possibilità di spingere oltre, più indietro la grande macchina del tempo di cui dispone il territorio materano per considerare la possibilità di ordinare i materiali già recuperati, e quelli che sicuramente affioreranno ancora in futuro, per dare luogo a una buona sezione paleontologica, un richiamo di carattere scientifico di sicura presa, ma non meno interessante anche sotto il profilo del turismo per un visitatore anche solamente curioso.
Pasquale Doria - La Gazzetta del mezzogiorno

http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it 13/11/2008