martedì 28 settembre 2010

Video della moria di pesci a Foce Cavone

Questo video è molto eloquente ed evidenzia lo stato dei fatti alla foce del Cavone. Non si sa bene quale sia la causa di questo fenomeno ma considerata la quantità di esemplari giacenti sulla spiaggia è quasi certo che molti altri animali come gabbiani, rapaci, aironi, limicoli, volpi, ecc. se ne sono nutriti abbondantemente. Questa cosa è molto grave soprattutto se si dovesse accertare nei prossimi giorni che questi pesci sono morti per inquinamento chimico. La catena trofica è tutta qui. Il predatore, o meglio (in questo caso) il necrofago, che mangia cibo avvelenato a sua volta accumula nei suoi tessuti sempre maggiori quantità di sostanze tossiche fino a quando si manifestano effetti sul suo organismo. A volte muore presto, a volte tardi (e chissà dove), a volte non muore ma di sicuro trasferisce in altri organismi una certa dose di sostanze tossiche o nel migliore dei casi può diventare sterile o produrre prole con problemi. Nulla si distrugge ma tutto si trasforma e spesso si intacca negativamente la Biodiversità!
Gli enti preposti al controllo e alla prevenzione ambientale in un caso simile dovrebbero (e si spera l'abbiano fatto) immediatamente provvedere alla rimozione di tutte le carcasse dall'area interessata sia per evitare danni alle altre specie, sia per monitorare in modo più razionale l'evolversi del fenomeno. Se l'area viene "ripulita" possiamo notare se ci sono ancora problemi ma se le carcasse di ieri si confondono con quelle di oggi o di domani non sapremo se il fenomeno è ancora in corso e in quale misura. Il monitoraggio si fa anche così!
Sarebbe opportuno che in caso di ritrovamento nelle aree limitrofe di qualsiasi esemplare (appartenente alle categorie dei potenziali ittiofagi cioè aironi, rapaci, mammiferi vari, ecc.) in difficoltà o anche già deceduta venga recuperata la carcassa e vengano avvertite le autorità sanitarie preposte affinchè si possa provvedere ad una maggiore raccolta di dati sul fenomeno che in questi giorni interessa un Sito di Importanza Comunitaria quale è la Foce del Cavone.

domenica 26 settembre 2010

I campanelli suonano a foce Cavone

Dopo invasioni di campo da parte di qualche molecola cattiva, alcuni organismi acquatici muoiono subito, l'uomo più lentamente. Quasi non ce ne accorgiamo. Leggiamo di pesci morti o di granchi moribondi e pensiamo, in fondo in fondo, ma sì... sono solo pesci! Ma forse non abbiamo ancora capito che questi vertebrati ed invertebrati che popolano le nostre acque, apparentemente sporche o pulite che siano, sono i nostri campanelli di allarme. E che suonano il loro inno della morte o della sofferenza molto prima dei laboratori "ufficiali"... Scommettiamo? Fatte le analisi tutto tornerà come prima, come sempre. E i pesci torneranno a guizzare mentre noi aspetteremo la prossima scappatella delle solite molecole sfuggite ai soliti ignoti... Ma nei nostri organismi, sempre più fragili, esposti e indifesi, si fa sempre più strada l'esercito delle incognite e delle paure. Meditiamo...

Qui l'articolo di cronaca "fluviale"che dovrebbe far meditare...

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e qui un articolo corredatoo da foto eloquenti pubblicato su Pisticci.com

giovedì 23 settembre 2010

Aironi guardabuoi a San Giuliano

L'Airone guardabuoi (Bubulcus ibis) è un piccolo airone che si riconosce per il corpo tozzo e per collo, becco e zampe relativamente corti. Nella Riserva di San Giuliano fino a 2-3 anni fa era relativamente difficile osservarli ma ora, grazie ad una generale espansione della specie a livello nazionale, è possibile vederlo anche in quest'area protetta, spesso al seguito di ovini. La loro caratteristica abitudine di stare sul dorso di animali pascolanti li rende facilmente riconoscibili anche da lontano e riportano alla mente gli sconfinati paesaggi africani in cui, grazie ai numerosi documentari naturalistici trasmessi dalle TV, spesso si osservano questi simpatici ardeidi sul dorso di gnu, elefanti, ippopotami o zebre...
Un motivo in più per rispettare e tutelare la preziosa biodiversità che racchiude la Riserva Naturale di San Giuliano.
In Italia questa specie negli ultimi 25 anni è passata da 1-2 coppie a circa 800 nel 2000 (Brichetti & Fracasso, 2003). La maggior parte delle coppie risulta localizzata nella pianura padana.

Le belle foto qui sotto sono state scattate pochi giorni fa da Alfredo Vilmer Sabino che ringrazio per averle messe a disposizione di questo blog.





lunedì 20 settembre 2010

Dalla Basilicata 2 giovani bianconi seguiti con il GPS



Grazie a un progetto finanziato dall’Osservatorio Faunistico della Regione Basilicata e dall’Università di Alicante (Spagna), nel mese di luglio del 2010 sono stati marcati con trasmittenti GPS/Argos per la prima volta in Italia due giovani Bianconi (Circaetus gallicus), nel Parco Gallipoli Cognato Piccole Dolomiti Lucane. Ai Bianconi sono stati dati i nomi di Nic e Biagio. Le trasmittenti, dal peso di 45g (meno del 3% del peso delle aquile) funzionano tramite telemetria satellitare, una tecnica attraverso la quale è possibile seguire le migrazioni degli uccelli attraverso piccole radio alimentate da pannelli solari. Questi strumenti, che sono stati applicati tramite un leggerissimo “zainetto” pochi giorni prima che le giovani aquile si involassero dal nido, inviano dei dati (coordinate, ora e data) che sono poi scaricabili da internet. Il Biancone è un’aquila che nidifica in ambienti mediterranei, si nutre quasi esclusivamente di serpenti, e trascorre l’inverno prevalentemente in Africa. Il sistema GPS consente di localizzare i bianconi con precisione e quindi di valutare le rotte di migrazione utilizzate per attraversare il Mediterraneo e il Sahara, nonché di determinare le aree di svernamento in Africa tropicale. Con pochi mesi di vita le giovani aquile dovranno quindi affrontare un viaggio di migliaia di chilometri, sorvolando barriere naturali come il mare e il deserto, caratterizzate da ambienti ben diversi da quelli della Basilicata, in cui hanno trascorso i primi mesi di vita. In questa pagina sarà possibile seguire sulle mappe gli spostamenti dei Bianconi. La riproduzione dei contenuti di questa pagine e la relativa citazione sono consentite solo su autorizzazione degli enti finanziatori (Parco Gallipoli Cognato Piccole Dolomiti Lucane - Università di Alicante, Spagna). Per informazioni è possibile contattare Ugo Mellone (ugomellone@libero.it) o info@parcogallipolicognato.it


Visualizza Nic - autumn migration 2010 in una mappa di dimensioni maggiori


Visualizza Biagio - autumn migration 2010 in una mappa di dimensioni maggiori

Fonte: http://www.parcogallipolicognato.it/ita/web/nav.asp?nav=130

lunedì 13 settembre 2010

Falco pescatore alla foce dell'Agri








In data 13 settembre 2010, durante i consueti sopralluoghi rivolti al monitoraggio dell'avifauna lungo la costa jonica lucana, è stato osservato un Falco pescatore (Pandion haliaetus) presso la Foce dell'Agri (MT).
Il soggetto (un giovane dell'anno) recava un anello metallico posto su una delle zampe, dunque si trattava di un individuo inanellato.
La pratica dell'inanellamento consente di marcare i soggetti con anelli alfanumerici al fine di ottenere informazioni sui movimenti migratori, la struttura di popolazione e altre componenti eco-etologiche la cui conoscenza è indispensabile per attuare corretti piani di conservazione.
L'anello metallico del Falco pescatore osservato, purtroppo, non era leggibile; tuttavia è molto probabile che l'individuo provenisse dalla penisola scandinava (Finlandia o Svezia) dove in effetti sono attivi moltissimi programmi di inanellamento rivolti in particolare a questa specie.
La costa jonica lucana conferma ulteriormente il ruolo strategico che svolge nell'ambito della migrazione dell'Avifauna, "convogliando" i migratori provenienti da Nord-Est verso le aree di svernamento localizzate a Sud-Ovest.

Egidio Fulco

Tesori della Murgia



SALVATO IL CASONE DI SANT'ANDREA

di EMILIO OLIVA

Stava cadendo a pezzi. Le infiltrazioni di acqua e di radici, oltre alle muffe e allo stato generale di abbandono, avevano messo in serio pericolo la costruzione, una testimonianza dell’economia pastorale che si fa risalire al XVIII secolo, unica nel suo genere per la sua architettura contaminata da stili orientali. Tanto che lo studioso Mario Tommaselli lo aveva paragonato ad una «moschea con il minareto». Ma dopo un attento restauro, costato appena 40mila euro, il Casone della Murgia è stato recuperato al patrimonio rupestre e sotto la gestione dell’Ente Parco della Murgia materana potrà diventare la base operativa dei percorsi turistici e naturalistici della zona di Sant’Andrea, a Montesca glioso. Gli artefici di questa impresa, consegnata all’umanità senza clamori, si chiamano Guglielmo Strada, Fondazione Zetema, Massimiliano Burgi, Michele e Fr ancesco Paolo Sacco, oltre allo stesso Tommaselli. Burgi, architetto, è il progettista e il direttore dei lavori di restauro che l’im - presa dei fratelli Sacco ha eseguito in modo esemplare, praticamente a costo zero. Michele D’Elia, direttore tecnico scientifico di Zetema, gli aveva raccomandato di «ritornare spesso nel sito – ha rivelato Burgi – per capire cosa vuole il Casone da te». Il giovane architetto ha seguito il consiglio e i risultati sono sotto gli occhi di tutti.

Proprietario del Casone è Guglielmo Strada, uno tra i pochi privati che comprendendo il valore del bene lo ha ceduto in comodato alla Fondazione Zetema. «Quando cominciammo a parlare di questo progetto, nato da una idea comune dell’avv. Raffaello De Ruggieri, mia e dell’amico Tommaselli – racconta – tutto sembrava possibile, ma arduo il cammino. Ricordo le parole dell’avvocato: “Prima i fatti e poi le parole”. E così è stato fatto. Nel giro di pochissimo tempo, grazie alla sua grinta e all’aiuto di validi collaboratori si è potuto salvare in extremis questo edificio, unico nel suo genere. Ci auguriamo che si continui su questa strada e che si possano salvare i numerosi tesori nascosti nel territorio, altrimenti destinati al degrado e alla dimenticanza». Per la Fondazione Zetema è come sfondare una porta aperta. Il restauro del Casone si inserisce in una certosina ed efficace missione di recupero di monumenti e simboli del passato inaugurata da Zetema con il restauro della Cripta del peccato Originale, definita per la ricchezza di affreschi «la Cappella Sistina del rupestre materano». Ma la lista di monumenti restaurati e da inaugurare è destinata ad allungarsi.

«Le prossime, tra qualche mese, pensiamo a novembre, saranno le chiese rupestri di Santa Margherita e Santa Lucia a Melfi», annuncia Raffaello De Ruggieri, presidente della Fondazione, pur dichiarandosi fedele al principio di voler comunicare sempre e comunque con i fatti. Un altro principio osservato da Zetema anche in questa occasione supera persino il valore di ogni restauro perché affronta il problema del dopo, cioè del futuro del monumento, perché non ricada nell’abbandono.

«Prima di intervenire sul fronte conservativo occorre avere un’idea gestionale», ammonisce De Ruggieri. Non a caso la nuova storia del «minareto» ha inizio adesso con l’Ente Parco della Murgia che a giorni lo riceverà ufficialmente in gestione per affidarlo al Centro di educazione ambientale di Montescaglioso e metterlo a servizio delle sue attività. Ro- berto Cifarelli, presidente dell’Ente Parco, è convinto che questa sia la strada per trasformare Matera, Montescaglioso e il territorio murgiano da «meta di passaggio» a «meta turistica autonoma e autosufficiente » in grado di «portare valore aggiunto» all’economia locale. Il restauro del Casone rafforza i programmi di recupero e di salvaguardia di monumenti, siti e manufatti che rappresentano i segni distintivi della Murgia e della civiltà rupestre, un patrimonio unico e irripetibile che «i ragazzi della Scaletta» negli anni Sessanta cominciarono a studiare e a candidare ad azioni di tutela contro spoliazioni, vandalismi, abusi e abbandono. Sarebbe un delitto se nessuno raccogliesse il loro testimone per continuare nel tempo quel lavoro, anche se l’entusiasmo, la passione, la tenacia e la tensione ideale dovessero ricordare solo pallidamente l’indimenticabile stagione spesa da quei «ragazzi», oggi ultrasessantenni, animatori del circolo culturale, per la conoscenza e la tutela del territorio e del suo patrimonio.


«Come una piccola moschea con il minareto sulle vie della transumanza»

Tra centinaia di casoni sparsi in Basilicata sulle vie della transumanza quello di Murgia Sant’Andrea è forse il più singolare. A colpire è la sua struttura architettonica per la quale lo studioso e naturalista Mario Tommaselli lo paragonò ad «una piccola moschea con il minareto». La spiegazione la trova nel fatto che l’Abbazia benedettina di Montescaglioso, nei cui tenimenti rientrava l’area in cui è sorto, «aveva commende, come tutte le altre, anche in paesi orientali. In Siria ci sono modelli molto simili in luoghi di culto». A rafforzare questa tesi è l’a rch. Massimiliano Burgi, che ne ha diretto il restauro, evidenziando le «tre forme archetipe di cui si compone, il cerchio, il rettangolo e il quadrato, ognuna delle quali con una destinazione precisa. La parte circolare, che unisce gli altri ambienti, «con una cupola a forma di pera», ospitava il soggiorno di mandriani e pastori. Nella parte quadrata, il camino, si completava la lavorazione di formaggi e ricotte. La parte rettangolare era adibita al ricovero di cavalli o muli e asini».

Sorge in un «punto nodale» dei percorsi della transumanza, tra il mare e la montagna, tra il Metapontino e le serre del Melfese, in un’area come quella materana e montese dove si incrociavano regi tratturi. «Oggi la transumanza è tutt’altra cosa, si fa con i camion. Ma a quei tempi avveniva a piedi e richiedeva giorni. Erano dunque necessari pernottamenti, per gli uomini e per le bestie. Nei casoni mandriani e pastori potevano soggiornare e avevano diritto a farlo per 24 ore, in casi eccezionali per 48 ore. Quando andavano via, restava un addetto che aspettava i compratori di ricotte e formaggi. perché i compratori che provenivano dai paesi della zona sapevano di questa trasmigrazione e conoscevano i giorni e le ore». Il casone è un tassello di quel complesso mosaico di monumenti e costruzioni che esprimono l’identità del patrimonio murgico. Ma proprio per la sua architettura originale, dopo il restauro, arricchisce il forziere di tesori custoditi nel territorio materano e salvati in tempo, prima che si conservassero soltanto in qualche fotografia, come dice Tommaselli.

«Quando il tenimento di Murgia Sant’Andrea fu espropriato, prima con le leggi napoleoniche, dopo con quelle del 1860, con l’unificazione d’Italia, quest’area fu fatta a pezzi e lottizzata andando in mano a privati. Fu un passaggio doloroso, perché allora non si comprese che questa unità del territorio era di vitale importanza». Un altro rischio che corrono i tesori della Murgia sono l’abbandono e il disinteresse delle istituzioni. Alla Regione, ma a uomini che si sono succeduti nell’arco di più legislature, Tommaselli rimprovera di aver emanato una legge per l’istituzione dell’Ente Parco della Murgia ignorando di aver assunto con essa un impegno, «che non era solo morale». L’idea di Tommaselli è che non avrebbe dovuto sentirsi chiedere qualcosa dall’Ente Parco o sollecitare interventi o risorse, ma invertendo i termini «pretendere dall’Ente Parco» i risultati di un’azione di tutela. « È come se un figlio – spiega meglio lo studioso – venisse privato del vitto o dell’alloggio oppure venisse abbandonato. Mi auguro che prima o poi questa Regione riesca a capire che quando fa una legge ha il dovere di rispettare quanto ha approvato». [em.ol.]

Fonte:
http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/GdM_dallabasilicata_NOTIZIA_01.php?IDNotizia=365869&IDCategoria=12

mercoledì 1 settembre 2010

Il Capovaccaio Arianna è tornato in Basilicata!

Dopo il suo rilascio in Puglia nel 2006 e una lunga permanenza in Africa centrale il Capovaccaio "Arianna" è tornato in Italia e precisamente in Basilicata. Il 13 agosto, dopo attente ricerche e monitoraggi nelle aree idonee alla specie, anche con l'ausilio dei deboli segnali radio emessi dal trasmettitore satellitare di cui è dotata, finalmente la scoperta! L'unico sito in cui Arianna è stata vista è dunque in Basilicata, in un'area caratterizzata da pascoli aridi frequentati da bovini, ovini e caprini e assolutamente poco antropizzata! Si conferma come il progetto di restocking del Capovaccaio avviato da diversi anni in Italia grazie al CERM diretto da Guido Ceccolini e con la collaborazione dell'Oasi LIPU di Laterza è perfettamente riuscito e ci indica quali devono essere le caratteristiche delle aree in cui gli esemplari di ritorno dall'Africa possono potenzialmente insediarsi ed eventualmente nidificare. Ora Arianna ha bisogno di essere lasciata tranquilla sperando che presto possa riprodursi ed incrementare la piccolissima popolazione italiana formata da non più di 7 coppie allo stato attuale. Una di esse è stata aiutata grazie ai carnai effettuati in Basilicata con il contributo di ALTURA e si è riprodotta con successo portando all'involo due giovani.
Al seguente link un comunicato della LIPU:
http://www.lipu.it/news/no.asp?1026


Arianna è dotata di due anelli di riconoscimento!




L'unico documento video sul ritorno di Arianna in Italia!